Pizza e Pasta italiana
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Editoriale del Mese
«Lo vorrei vedere qui, il signor Goya! A creare sono bravi tutti. Il difficile è copiare!».
Le parole del “principe della risata” nel film “Totò Eva e il pennello proibito” sono quantomai appropriate per dare il via a questo numero di “Pizza e Pasta Italiana” che, andando un po’ in controtendenza rispetto alla contemporaneità dettata dalla legge dei social network e facendo sicuramente storcere il naso a un po’ di pizzaiole e pizzaioli, vuole tessere un elogio della copia.
Le parole del “principe della risata” nel film “Totò Eva e il pennello proibito” sono quantomai appropriate per dare il via a questo numero di “Pizza e Pasta Italiana” che, andando un po’ in controtendenza rispetto alla contemporaneità dettata dalla legge dei social network e facendo sicuramente storcere il naso a un po’ di pizzaiole e pizzaioli, vuole tessere un elogio della copia.
Perché – checché se ne dica – copiare è un’arte: basti pensare a quante volte, a scuola, abbiamo (ehm… avete!) dovuto trovare i modi più ingegnosi per sopperire alle conoscenze molto lacunose e provare a superare una prova apparentemente difficile, facendo ricorso non alla memoria ma allo “spizzicare lo sguardo” sul compito altrui. La difficoltà maggiore nel copiare sta, però, nel riuscire a farlo bene, comprendendo il senso e, talvolta, “cambiando le parole” per non farsi beccare: è lì che si passa dall’essere un asino a diventare un genio. Nel mondo della cucina – inutile dirlo – si copia da sempre o, almeno, da quando sono nati i ricettari, ossia da quando a ospitare grandi banchetti non erano più solo i nobili ma anche le classi borghesi che necessitavano, dunque, di cuochi, i quali si ispiravano – ça va sans dire – alla cucina di corte. In pizzeria, il discorso è apparentemente diverso: sembra che copiare sia una viltà, un’incapacità di mettere in pratica idee proprie. Eppure, è quantomeno strano che siano proprio i pizzaioli (che, per definizione, sono spesso allievi di bottega e non di scuola) ad avere questo “blocco della copia”.
Tant’è che qualche anno fa, cavalcando l’onda del “l’ho fatto prima io!” nacque un portale che certificava la paternità di una pizza in base a chi la registrasse per primo. Pensate se questo strumento fosse esistito ai tempi di Raffaele Esposito, il pizzaiolo che, per primo, secondo la tradizione, avrebbe portato alla ribalta la Margherita: ne avrebbe reso impossibile la diffusione oppure i suoi emulatori avrebbero dovuto riconoscergli delle royalties? Per fortuna, non lo sapremo mai. Resta il fatto che la pizza a forma di stella, quella col cornicione alveolato, quella con il crocchè di patate in fiocchi o quella con le polpettine hanno abbondantemente superato le porte delle pizzerie che per prime le avrebbero realizzate. E questo, indipendentemente dalla firma sul menù, dovrebbe rendere orgogliosi i loro creatori perché, come vuole un motto attribuito a Oscar Wilde (che, con Jim Morrison e Chuck Norris detiene il primato delle frasi celebri, vere o presunte che siano): «Una tradizione è un’innovazione ben riuscita».

di Antonio Puzzi
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