A proposito di cultura, cosa vuole esprimere e comunicare la tua cucina?
Comunica me. Non è megalomania ma penso di rappresentare molte donne, molti uomini della mia stessa identità e origine. Racconto prima di tutto la nostra meravigliosa terra: l’Africa, terra di tutti noi, perché è lì che l’essere umano è nato. Si racconta sempre dell’uomo bianco, caucasico, che ha viaggiato nel mondo e “scoperto”, come Colombo con l’America. Ma è la stessa persona – l’essere umano occidentale – che si pone dei limiti nella conoscenza altrui. Scopre, però non vuole conoscere. Va a prendere con forza ma non vuole restituire ciò che ha rubato. La mia cucina comunica tutte queste battaglie, la gioia di essere diventata chef in Italia, perché è qui che mi sono formata e sono diventata una professionista. Ho viaggiato per il mondo per continuare a imparare, perché non si smette mai. Racconto la bellezza di aver creato una nuova vita, perché sono una sopravvissuta. Vengo da un Paese che era stato lacerato da due guerre, dopo il genocidio del Ruanda, che è uno dei più grossi del mondo ma non se ne parla. Si parla solo della Shoah, mai del Ruanda. Tutto ciò che succede in Africa viene messo sotto il tappeto, la gente non deve vedere. Quello che succede “di qua” invece, è notizia per il mondo intero. Io voglio raccontare quello. L’Africa non è ciò che si vede in tv: plasmata come povera, pietosa. La mia cucina, in sintesi, racconta le bellezze dell’Africa e dell’Italia.
Parlami di Uma Ulafi e del premio dedicato a Diego Schiappone, un ragazzo che amava i grani antichi d’Africa.
Uma Ulafi (“forchetta golosa”) è il salone internazionale della scoperta delle culture gastronomiche africane. Ho ideato questo concept perché ho notato che noi che siamo una “minoranza”, non veniamo promossi a dovere. Quelli che lo sono vengono usati come esempi per dire: “noi non siamo razzisti”. Uma Ulafi vuole promuovere la gastronomia afro in Italia ma anche nel mondo. Serve per dire che noi ci siamo sempre stati. “Uma” in lingua swahili significa forchetta e la forchetta da pasticceria fu inventata da una donna nera schiava nel 1891. Se andiamo a vedere cosa hanno creato gli Africani, i neri nel mondo, gli Italiani non trovano posto. Con questo non voglio creare alcuna divisione, è una realtà. Per questa edizione speciale ho ideato il premio in onore di Diego, questo ragazzo che amiamo tanto e che, purtroppo, è mancato lo scorso settembre: era molto giovane, aveva 26 anni. Io non l’ho mai conosciuto di persona, è stato un rapporto virtuale con una persona che aveva un amore folle per l’Africa, ci ha vissuto. Mentre era lì, si è innamorato dei grani antichi africani, delle farine d’Africa e, rientrato in Italia con i genitori, il suo sogno era poter aiutare le donne che lavoravano le terre e producevano farine. Lo ha fatto in silenzio. Oggi ci sono i trattori ma in Africa la più grossa raccolta viene fatta a mano, soprattutto da donne, con gran fatica. Quando Diego aprì la sua pizzeria, molti colleghi pizzaioli lo prendevano in giro per il fatto che usasse farine africane: “Siamo Italiani, abbiamo creato la pizza, dovresti lavorare le nostre farine, tu usi queste, ma chi li conosce?”, dicevano. Oggi si sono sviluppate moltissime intolleranze, specialmente al glutine, anche nei bambini. C’è inquinamento, si usano pesticidi. In Africa abbiamo delle terre ancora vergini. Il 40% dello spazio non utilizzato è rappresentato da essa. È una grande potenza avere la fortuna di poter promuovere questi grani. Quelli antichi oggi li chiamano “super food”, li hanno scoperti adesso ma noi li abbiamo sempre avuti, ci siamo cresciuti. Abbiamo farine estratte dal tubero che può vivere anche dopo l’uomo, non ha bisogno di acqua, resiste a 40°C sotto al sole, è spontaneo.
Come si dice: la terra vive senza l’uomo, l’uomo senza la terra no. Diego in silenzio aiutava quelle donne e la battaglia che sto facendo è promuovere tutti gli attori che ruotano intorno al mondo enogastronomico africano.
La seconda edizione di Uma Ulafi è dedicata proprio alla celebrazione della terra. Quale miglior modo di celebrare quelle donne se non rendendo omaggio a Diego?