Facile dire "frumento", ma che frumento è?

La storia della pizza

Il mese scorso abbiamo iniziato ad affrontare un argomento molto più complesso di quanto sembri, perché è davvero facile dire “frumento”, parola da tutti conosciuta e ripetuta, ma se poi si vuole davvero capire quanti tipi di grano copre questo termine si resta molto colpiti.
Fino all’anno 1000, ad esempio, il frumento era chiamato “grano” e con questo termine si intendevano molte tipologie cerealicole. Pian piano, a cominciare dalle regioni del Nord Italia, il vecchio termine “grano” è stato sostituito da quelli di “frumento” e “biada”. Tuttavia, ancora per diversi secoli, impera il termine “grano”, da cui “granaglie”, “mercante di grani”, “mercato del grano”, dove la parola “grano” poteva sì significare anche “frumento”, ma indicava soprattutto cereali in genere.
Questo capitolo della nostra storia della pizza può essere considerato come una sosta per riflettere meglio sulla materia prima alla base delle nostre pizze, ed è un invito agli operatori del settore a rivedere certi pregiudizi che accompagnano le più diffuse informazioni sui frumenti attualmente coltivati in Italia e nel mondo.
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La crisi del frumento

Abbiamo tutti imparato fin dalle scuole elementari che i Romani acquistavano e importavano enormi carichi di frumento, trasportandolo con le navi dalla Sicilia, dall’Egitto e da altre parti del Nord Africa e del Vicino Oriente e sappiamo pure che parte di quelle importazioni accompagnarono le legioni romani da Roma alla conquista prima dell’Italia centro meridionale, poi, dal II secolo prima di Cristo del Nord Italia, al di là del fiume Po e, nei secoli successivi, in tutta Europa. E poiché quel frumento arrivava da varie parti – Egitto, Nord Africa, Asia Minore, Sicilia – quello trasportato dalle legioni e poi seminato nelle terre conquistate non era tutto uguale ma di diverse varietà.
Se nei primi secoli dell’era moderna in Italia, Francia e Spagna si diffuse il frumento portato dai Romani, questa situazione andò decisamente mutando a partire dal III secolo d.C. quando, come scrive Massimo Montanari “si cominciarono a preferire grani di qualità inferiore ma di più tenace resistenza e di resa più sicura: segale, orzo, avena, farro, spelta, miglio, panico, sorgo”.
Ebbe inizio allora la crisi del frumento e sarà necessario arrivare al XIV secolo, in pieno 1300, per ritrovare il frumento la cui farina era riservata solo alle famiglie più ricche.

Varietà medievali di frumento

Alfio Cortonesi, autore d’un saggio intitolato “I cereali nell’Italia del tardo Medioevo” (1997), cita alcune varietà commerciate nel XIV secolo a Firenze, con ciò confermando quanto abbiamo scritto poco sopra e cioè che i Romani avevano diffuso in Italia e in Europa diverse varietà di frumento, poiché diverse erano i luoghi di produzione e di acquisto.
E ci piace qui ricordare, con una brevissima descrizione, alcuni di questi antichi frumenti, commerciati sulla piazza di Firenze, allora uno degli snodi più importanti per le attività commerciali.
 
“Calvello”, citato da diversi autori del tempo, era un grano tenero così denominato perché “calvo”, cioè privo di reste, ritenuto il migliore per la panificazione e la sua farina era chiamata “fine farina”.
 
“Grosso”, non è dato sapere le caratteristiche di questo frumento antico.
 
“Comunale”, era così chiamato il frumento – grano tenero - prodotto attorno a Firenze, quindi un frumento locale, considerato di poco pregio.
 
“Rocella” detto anche “Maiorca”, grano tenero di provenienza siciliana, probabilmente arrivato in Sicilia dalle Baleari, considerato molto buono ma col difetto di deteriorarsi velocemente.
 
 C’erano inoltre i grani duri, di provenienza siciliana:
 
“Siciliano”, molto adatto per confezionare la pasta.
 
“Forte”, come chiarisce il nome dava una farina molto forte, anche questa ottima per la pasta.
 
“Tumminia” (oggi Timilia), ottimo grano duro siciliano, ancor oggi coltivato e del quale questa rivista ha già scritto a proposito dei grani antichi ancor presenti in Italia.
 
 Oltre a questi grani riportati da documenti riguardanti il mercato di Firenze nel XIV secolo, in Italia c’erano allora altre varietà di frumento, coltivate da secoli e, a titolo di esempio, ricordiamo:
 
“Khorasan”, il “Triticum turanicum” o grano turanico, originario delle alture dell’Anatolia (attuale Turchia) e coltivato da almeno duemila anni in Puglia, felicemente rilanciato in tempi moderni (grazie anche alla forte promozione di un’azienda americana, che lo commercializza col nome kamut) è oggi utilizzato per pane, pasta, pizza e dolci.
 
“Saragolla”: tra la Lucania, il Sannio e l’Abruzzo si coltiva ancora un’antica varietà spesso assimilata al khorasan, un tipo di frumento a basso contenuto di glutine e ricco di antiossidanti e proteine, anche questo felicemente riscoperto e in espansione.
 
Concludo ricordando il grano tenero “Gentil Rosso”, che è una varietà di grano antico molto pregiato, originaria della Toscana.

Perché abbiamo compiuto questa lunga seppur veloce carrellata fra le varietà di grano?

Credo sia fondamentale che chi usa le farine sappia da quali frumenti derivano, l’origine di quelle varietà, i luoghi e le tecniche di coltivazione, poiché oggi chi entra in una panetteria e in una pizzeria ha diritto di sapere l’origine delle materie prime con cui è stato fatto il pane che acquista e la pizza che sta per mangiare.
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di Giampiero Rorato

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