Gli gnocchi, l’identità italiana in cucina

L’identità gastronomica di un popolo si costruisce lentamente, attorno a ingredienti e ricette che nel corso del tempo si evolvono e si affermano, che si sono stratificate fino a diventare un elemento di riconoscibilità e, in alcuni casi, di orgoglio nazionale. Tuttavia, è frequente commettere l’errore di considerare come “storici” o “secolari” piatti che invece hanno una vita recente e che sono presenti sulla tavola da un periodo relativamente breve, se rapportato ai secoli di storia della gastronomia. Ed ecco allora che di fronte a un piatto fumante di gnocchi al pomodoro, uno dei tanti simboli della tavola italiana, prima di affondare la forchetta nel morbido impasto, . opportuno saperne di più, avendo la pazienza di leggere i testi dei grandi cuochi del passato e ricostruendo cos. l’albero genealogico di un piatto secolare. Per farlo dobbiamo risalire alla metà del 1400 in un caso, e alla metà del 1500 nell’altro, lasciando parlare due autori che hanno contribuito a costruire l’identità gastronomia nazionale. Il primo è Maestro Martino da Como, autore del Libro de Arte Coquinaria, fine cuoco e gastronomo; il secondo è Bartolomeo Scappi, cuoco papale, autore di un’opera monumentale.
 
Da Martino assaggiamo gli zanzarelli:
“Per fare zanzarelli. Per farne dece menestre: togli octo ova et meza libra de caso grattugiato, et un pane grattato, et mescola ogni cosa inseme. Dapoi togli una pignatta con brodo di carne giallo di zafrano et ponila al focho; et como comincia a bollire getta dentro quella materia, et dagli una volta col cocchiaro. Et como te pare che sia presa toglila dal focho, et fa’ le menestre, et mittivi de le spetie di sopra. Per fare zanzarelli verdi. Fa’ como è ditto di sopra, et non gli porre zafrano et giongili quelle herbe del brodetto verde. Per fare zazzarelli in bocchoncelli o bianchi, o verdi, o gialli. Per fare zazzarelli in bocchoncelli o bianchi, o verdi, o gialli, fa’ la materia come se contene di sopra secundo il colore che tu gli vorrai, et sia alquanto più dura; et togli un cucchiaro piccino. Et quando il brodo comincia a bollire fa li bocconcelli como una fava, et gettagli ad uno ad uno nel brodo. Per fare zanzarelli bianchi. Per fare zanzarelli bianchi piglia un pocho de lacte de amandole et pane biancho grattugiato, et del biancho de ovo, et mitti de bon brodo de carne, et meglio serebbe di bon pollo grasso, in una pignatta con un pocho di lacte d’amandole. Dapoi cocili como è ditto di sopra.” 
 
Di Scappi, invece, ecco i maccaroni:
“Per far minestra di maccaroni, detti gnocchi. Piglionsi due libre di farina, & una libra di pan bianco grattato, passato per lo foratoro e impastisi con brodo grasso che bolla, ovver con acqua, giungendovi quattro rossi d’uovo sbattute nel mescolar della pasta, e quando tal pasta sarà fatta di modo che non sia troppo soda, nè troppo liquida, ma sia ridotta nella sua perfettione, pigliesene quanto è una noce e spolverizzisi dal riverso della grattacacio di fior di farina, e pongasi la pasta sopra essa grattacascio, e faccianosene l gnocchi, e non havendo gratta cascio faccianosi sopra una tavola, tirando però li gnocchi con tre dita sottilmente, e pongasi men farina che si può, acciocchè rimangano più teneri, e habbiasi avvertenza di non rimenare la pasta, perciocché verrebbe troppo liquida, e quando saranno fatti lascionsi alquanto riposare. Dapoi faccianosi cuocere in brodo grasso che bolla, o nell’acqua in un vaso largo,& quando saranno cotti, accommodinosi in piatti con cascio, provature non troppo salate, grattate, zuccaro, cannella e bocconcini di butiro fredco.”
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Nella tradizione regionale italiana

Impossibile non riconoscere nei piatti assaggiati gli antenati dei moderni gnocchi: impastati con farina, uova, formaggio, pane grattugiato, farina di mandorle, i morbidi tocchetti di pasta venivano cotti in brodo quindi conditi con spezie e burro. Già all’epoca, la raffinatezza del gusto e la competenza tecnica permettevano di realizzare sfumature cromatiche (verde, giallo e bianco) di fronte alle quali ancora oggi ci si meraviglia. Ed ecco allora che l’immagine del gnocco come espressione gourmet della patata, pur non essendo sbagliata, è però parziale fotografando solo una parte della storia, quella successiva alla scoperta dell’America e ancora più tarda: la patata entra a tutti gli effetti nell’alimentazione (povera), solo dal 1800. Se allora formaggio, pomodoro, ragù arricchiscono la versione classica degli gnocchi di patate, un breve viaggio tra le regioni d’Italia permette di scoprirne versioni più antiche, inedite e persino più golose al palato.
 
Il Piemonte offre i dunderet, (farina, uova e latte: l’impasto si getta poi nell’acqua bollente) dalla forma allungata e irregolare, e le ravioles della Valvaraita, gnocchi di patate e tomini, serviti con burro e formaggio grattugiato. In Lombardia tipici sono gnòc de la cua, preparati con un impasto di spinaci o erbette, pane raffermo e uova. Vengono conditi con formaggio silter grattugiato. Poi i malfatti, simili ai precedenti con l’aggiunta nell’impasto di formaggio grattato e conditi con burro e parmigiano. Farina uova e latte sono la base degli gnocchi alla lariana, mentre negli gnocchi de ‘pa protagonista è il pane raffermo. Di Mantova sono i capunsei (pane raffermo grattugiato, formaggio grana, noce moscata, burro fuso e uova), mentre in Val Camonica ecco gli gnòc de schelt (farina di castagne, bianca e di grano saraceno) e gli gnòc de rìh, con riso cotto in brodo, impastato con uova, farina, pangrattato e formaggio.
 
Vanto regionale sono poi ovviamente gli gnocchi di zucca, un inno al colore e alla morbidezza. Il Trentino regala i canederli (pane raffermo, uova, latte, cipolla, prezzemolo e erba cipollina) arricchiti anche da speck e formaggio e serviti in brodo di carne, o con burro fuso e formaggio grattugiato e i piccoli spätzle (farina, acqua, uova e spinaci, erbette e ricotta). In Friuli si servono i gnocchetti de gries (semolino e uovo) e gli gnocchi de susini fatti con un impasto di patate che avvolge mezza susina. Veneti, e più precisamente veronesi, sono gli gnocchi di patate con la pastissada, lo spezzatino di cavallo tipico della città, mentre a Recoaro ecco gli gnochi con la fioreta: una ricotta semiliquida impastata con farina.
 
In Emilia Romagna, di tradizione medievale, sono i pisarei e faśö, gnocchetti di farina e pangrattato, tagliati a tocchetti e schiacciati col pollice, serviti con fagioli, lardo, cipolla e pomodoro. Poi i malfatti di Borgotaro, con ricotta ed erbette. Celebri in Toscana sono gli gnudi, fatti solo con ricotta e spinaci, e ottimi sono poi gli gnocchi del cicolano, (farina di mais e frumento).
 
Nelle Marche il mais è protagonista negli gnocchi di Apecchio, mentre in Umbria gli gnocchetti alla collescipolana vogliono farina e pangrattato per un sugo fatto con salsiccia sbriciolata, pomodoro e fagioli. Se ben si conoscono il semolino e il burro degli gnocchi alla romana la tavola laziale propone gli gnocchi de lu contadinu, della Sabina, preparati con farina e acqua salata, e gli gnocchi ricci, nell’amatriciano (farina, uova e acqua calda): schiacciati tra pollice e indice, si condiscono con sugo di spezzatino di castrato di pecora e pecorino.
 
In Campania la tradizione esalta gli gnocchi alla sorrentina, con mozzarella e pomodoro, mentre in Puglia provate i triddhi: piccoli pezzi di impasto fatto con uova, semola di grano duro e prezzemolo, cotti in brodo.
 
In Sicilia il riso è la base delle ganeffe, impastate con burro, tuorlo d’uovo, grana e zafferano, prima infarinate e fritte, quindi servite in brodo. E, infine, i sardi malloreddus: tra lo tra gnocco e la pasta, fatti a forma di conchiglia, si preparano impastando semola e acqua e si condiscono con salsiccia sarda, pomodoro, zafferano e pecorino.
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di Caterina Vianello

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