Globalizzazione o difesa del territorio?
Entrando in un supermercato e fermandoci davanti a uno scaffale di prodotti in barattoli o di bottiglie d’olio d’oliva si resta colpiti dalla provenienza dei contenuti. Leggendo, se ci riusciamo, quanto scritto in caratteri minuscolissimi su quei barattoli metallici, si viene a sapere il nome di chi li ha confezionati, ma troppe volte l’origine del prodotto è ignota. Lo stesso vale per l’olio extravergine d’oliva o anche olio d’oliva, quando si trova scritto “prodotto nell’Unione Europea”, termine che non significa nulla, perché può essere Spagna ma anche Africa del Nord o qualsiasi parte del mondo introdotto in Europa in modo illecito, cosa che i media hanno molte volte denunciato.
Questa è la globalizzazione, che significa che tutti i prodotti del mondo possono essere facilmente esportati in qualsiasi parte del mondo, per cui pian piano i singoli Paesi vanno perdendo le loro tipicità poiché a prevalere sono i prodotti più convenienti.
E lo sanno bene le multinazionali che, anche attraverso interventi di modifica genetica, privilegiano i prodotti che rendono di più, si conservano di più, producono di più, permettono di guadagnare di più. E tutto questo a scapito delle vecchie produzioni locali, le antiche varietà di frumento, di mais e di altri cereali; degli ortaggi di più lunga storia che le generazioni passate hanno lasciato che fosse la natura a modificarli, attraverso incroci spontanei, senza mai intervenire dall’esterno.
Lasciando alla natura di operare secondo le proprie leggi (non quelle seguite in certi sofisticati laboratori) ogni luogo è andato arricchendosi di prodotti locali, tipici di quel territorio e non di altri, in una moltiplicazione delle varietà che è la vera ricchezza alimentare offertaci dalla natura.