I prodotti di nicchia

Questo è un argomento molto importante sul quale è necessario metterci d’accordo sul suo significato. Per nicchia si intende un luogo molto piccolo, per cui un prodotto di nicchia è quello che si trova in un piccolo spazio e, conseguentemente, in piccola quantità.
 
Prendiamo ad esempio lo zafferano. In Italia lo si produce in alcune aree delle regioni centrali e della Sardegna, non certo ovunque. La sua coltivazione esige conoscenze e molta attenzione e in genere, come si legge nei manuali che riguardano questa spezia, per ottenere circa 10 g di zafferano servono almeno 300-350 bulbi su una superficie di 10-12 mq di terreno. Il prezzo medio a cui è possibile vendere il prodotto varia tra i 12-16 euro per grammo. Lo zafferano è, naturalmente, un prodotto di nicchia. Come lo è la liquirizia in Calabria, prodotto caratteristico di un territorio limitato e perciò giustamente considerata un prodotto di nicchia. Perché in questo mese abbiamo aperto una finestra su questo argomento?
 
Il lettore sa bene che da un po’ di tempo i più seri cultori della gastronomia ricordano che la cucina migliore è quella realizzata con prodotti di filiera corta, vale a dire con prodotti del territorio dove si trovano sì prodotti di larghissima diffusione – cereali, vino, olio, formaggi, salumi, ortaggi, ecc. – ma all’interno di ciascuna tipologia esistono i prodotti legati ad un territorio e prodotti solo in quel posto, per cui quel prodotto è da considerarsi di nicchia.
 
Per limitarci al formaggio è ben noto che dove ci sono mucche, pecore, capre ci sono anche formaggi, quindi praticamente quasi in tutto il mondo. Ma il Piacentino lo si trova solo in provincia di Ragusa, il Pecorino di Pietraroja è solo nel comune beneventano di Pietraroja, il Bitto storico è prodotto solo in provincia di Sondrio e nell’alta Val Brembana. Anche questi formaggi possono essere definiti “prodotti di nicchia”. E di prodotti simili in Italia ce ne sono migliaia.
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Cucina e prodotti di nicchia

Ci stiamo soffermando su questi straordinari prodotti, in moltissimi casi qualificati dalla DOP (Denominazione di origine Protetta) o IGP (Indicazione Geografica Protetta) perché ogni cucina dovrebbe caratterizzarsi con l’impiego di questi prodotti, non di tutti, ma di quelli che appartengono al medesimo territorio del ristorante o della pizzeria.
 
È pur vero che la pizza moderna, essendo nata a Napoli e da lì diffusa in Italia e nel resto del mondo, ama avere come ingrediente qualificante la mozzarella di bufala campana DOP, ma nel corso del tempo, in particolare nell’ultimo secolo e mezzo – dall’unità d’Italia in poi – la pizza si è radicata in molte altre parti, a cominciare da Brooklyn, il più popoloso dei cinque borough della città statunitense di New York, dove sono arrivati gli emigranti italiani – molti dalla Campania – già sul finire dell’Ottocento. Poi i pizzaioli sono arrivati in tutta Europa e fino in Australia (attualmente laggiù si cercano cuochi e pizzaioli italiani, stimatissimi) e in ogni luogo la pizza è andata differenziandosi, introducendo prodotti locali – il prosciutto di Parma, il radicchio rosso di Treviso, i porcini di Pontremoli, il tartufo di Acqualagna, ecc. – quinti tipicizzandosi e radicandosi nel territorio. Chi viaggia – per lavoro, per affari, per turismo – arrivando in un paese o in una città lontano dal suo luogo di residenza desidera gustare la cucina del posto e non c’è nulla di meglio per caratterizzarla che impiegare i locali “prodotti di nicchia”, altrove inesistenti.
 
Ecco il valore di questi prodotti. Gli stessi tipi di riso, cioè oltre le varietà – Arborio, Carnaroli, Originario, Roma, Sant’Andrea, Vialone Nano, ecc. - ci sono i luoghi di produzione – Vercelli, l’Oltrepò Pavese, la Bassa Veronese, il Mantovano, il Delta del Po, Grumello delle Abbadesse, ecc. – ed è bene che i ristoranti dei rispettivi territori impieghino il riso prodotto in zona, così caratterizzano meglio la propria cucina che diventa praticamente un unicum, acquistando indubbio valore. I prodotti di nicchia, se ben impiegati in cucine che privilegiano la qualità sia delle materie prime come del servizio, aiutano la ristorazione ad imporsi sul mercato ed a svolgere un importate e qualificato ruolo di servizio nel proprio territorio, evitando di cadere nella globalizzazione che, in cucina, rischia di tradursi in piatti dappertutto uguali.
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di Nives Piva

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