Il valore nutrizionale di carboidrati e cereali in pane, pizza e pasta

I carboidrati sono tra i grandi protagonisti della dieta mediterranea, sono la sua energia pulita. Il caratteristico lento assorbimento, infatti, è ottimale per lo sfruttamento metabolico dell'energia. Incominciamo dal nome: carboidrati, idrati di carbonio, glicidi o glucidi, amidi, zuccheri; nomi diversi per indicare la principale fonte di energia utilizzata dagli esseri umani.

Con l’eccezione della fibra, che l’intestino umano non è attrezzato a demolire con adeguati fermenti, i carboidrati rappresentano dal punto di vista metabolico l’energia pulita.
Una specie di benzina verde considerato che all’interno delle cellule umane la demolizione chimica dei carboidrati ha come risultato finale la produzione di energia con liberazione di acqua ed anidride carbonica, senza formazione di scorie e residui tossici. E’ necessario sapere, però, che i carboidrati possono avere tempi di digestione e riflessi metabolici diversi, a seconda della loro struttura più o meno complessa, perciò vengono suddivisi nelle tre categorie: monosaccaridi, disaccaridi e polisaccaridi.
Il gruppo chimicamente più semplice è costituito dai monosaccaridi che sono, molecole singole dal sapore dolce. Tipici esempi ne sono il glucosio o il fruttosio di cui è ricca la frutta.
Quando i carboidrati sono formati da due molecole di monosaccaridi si parla, invece, di disaccaridi ed a questa categoria appartengono il saccarosio (il comune zucchero estratto dalla canna o dalla barbabietola), il maltosio (ricavato dai cereali) o il lattosio del latte.
Questi due gruppi comprendono quindi gli zuccheri semplici, così denominati per distinguerli dai polisaccaridi o carboidrati complessi  a cui appartiene il polisaccaride più importante per la nutrizione umana, cioè l’amido che si ottiene da cereali, patate, legumi.
Per molte persone il termine carboidrati è sinonimo di ingrassamento, soprattutto quando si tratta di pane, pasta, patate o legumi, senza neppur tener conto che gli alimenti citati non contengono soltanto amido ma anche una discreta quantità di proteine vegetali, tutt’altro che insignificanti per l’equilibrio della dieta.
Da molti anni si raccomanda, ormai, che almeno il 50/55 % delle calorie necessarie all’uomo provenga dai carboidrati complessi (ma non più del 10 per cento dallo zucchero e dai cibi e dolciumi che lo contengono sotto forma di glucosio, fruttosio, lattosio, maltosio e saccarosio). Inoltre si sottolineano alcuni aspetti che possono meravigliare quanti hanno sempre considerato cereali, legumi e patate, come i maggiori responsabili della dilagante obesità. Fermo restando che alla base di qualsiasi aumento ponderale c’è sempre uno squilibrio tra calorie introdotte e calorie consumate ( si incomincino a modificare le abitudini sedentarie e non soltanto a ridurre la dieta), un’alimentazione ricca di carboidrati è meno “ingrassante” rispetto ad una povera di carboidrati ma ricca di grassi.
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La scienza dell'alimentazione

I carboidrati, specialmente quando sono ricchi di fibra, saziano rapidamente e consentono di non eccedere nelle porzioni; le diete ricche in carboidrati, a parità di peso, hanno un minor contenuto energetico rispetto ai grassi; il processo di conversione in grasso di deposito a partire dai carboidrati è più dispendioso di quanto non sia quello che può ottenersi dagli stessi grassi alimentari. I cereali rappresentano i vegetali più largamente consumati al mondo. Questo è dovuto principalmente alla loro diffusione ad alla completezza dal punto di vista nutrizionale. Tra i cereali ricordiamo l’avena, il frumento, il mais, l’orzo, il riso e le segale. Appartengono, nella maggior parte dei casi, alla famiglia delle Graminacee.
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La riscoperta del ruolo dominante dei carboidrati complessi, quelli a più lento assorbimento, nell’alimentazione di un onnivoro come l’uomo, ha rivalutato il modello alimentare italiano, basato sulla pasta e sulle verdure, facendone un prototipo da imitare.
Nei confronti della pasta si sta diffondendo ovunque un’attrazione positiva che la comunità scientifica ha promosso indirettamente con l’avallo delle osservazioni epidemiologiche sui rapporti tra diete e malattie cardiache, come l’infarto, e con l’emanazione di linee guida dell’alimentazione, tutte in favore dei carboidrati complessi. Ma un aspetto tecnico ha dato e potrà dare ulteriore risalto alla supremazia dietetica della pasta ed ancor più della pasta integrale nei confronti del riso o di altri farinacei: il cosiddetto “indice glicemico”.
Con il termine di indice glicemico si indica il diverso effetto che gli alimenti esercitano, a parità di contenuto in carboidrati, sull’innalzamento della glicemia. Gli alimenti poveri di fibre e rapidamente scomponibili nei processi digestivi, come lo zucchero o le patate, immettono troppo rapidamente il loro glucosio nel sangue con brusche variazioni della glicemia e con un sovraccarico metabolico. Viceversa, altri alimenti, come i legumi e la pasta, offrono più resistenza agli enzimi digestivi e cedono più gradualmente il loro glucosio con il vantaggio di squilibrare meno la glicemia e di garantire più a lungo il senso di sazietà. Questi aspetti sono tutt’altro che trascurabili per le popolazioni dei Paesi industrializzati, dove maggiore è il contrasto fra le diminuite necessità energetiche e l’accresciuta quantità e qualità dell’offerta alimentare. Importante è anche il significato protettivo delle fibre alimentari, abbondantemente contenute nei cereali naturali, per capire i vantaggi che la pasta ed ancor meglio la sua versione più “integrale” possono avere su altri cibi ricchi di carboidrati ma privati delle fibre come il riso brillato (prescritto per questo motivo nei disturbi intestinali).
Chiunque abbia pratica di diete dimagranti sa bene che l’improvvisa abolizione della pasta provoca o aggrava la stitichezza, proprio per la mancanza di quella fibra che veniva fornita abitualmente dalla pasta.
A contrastare l’immagine positiva della pasta, però, c’è il preconcetto popolare che la pasta faccia ingrassare e questo sospetto, per quanto ingiustificato com’è facile dimostrare, incide negativamente sui consumi. Troppe persone, che hanno uno stile di vita caratterizzato dalla sedentarietà li spinge inesorabilmente verso il sovrappeso, si privano della pasta etichettandola a torto come cibo ingrassante. E’ vero però che bisogna rifarsi alla quantità ed ai condimenti per giudicare il contributo, modesto od eccessivo, che un piatto di pasta può dare al totale giornaliero delle calorie. 
Sarà soltanto l’eccesso delle calorie introdotte, rispetto a quelle realmente consumate, a determinarne l’accumulo sotto forma di grasso. Tutto qui, senza incolpare né la pasta, né i formaggi, né gli altri cibi.
Anche la cottura ha la sua importanza. Non è soltanto una questione di gusto ma la cottura della pasta deve essere al punto giusto, meglio un po’ al dente che scotta, anche per motivi digestivi. E’ bene ricordare, però, che la digestione dei carboidrati inizia nella bocca per effetto della ptialina, un enzima capace di semplificare le lunghe catene dell’amido, trasformandole in strutture meno complesse e quindi più aggredibili dai succhi gastrici ed intestinali. Per questa ragione la pasta va masticata e gustata con calma.
Se la digestione di una pasta scotta è certamente più lenta, il ruolo dei condimenti è ancora più determinante nel prolungare la permanenza nello stomaco. Qualsiasi grasso contribuisce a rallentare il passaggio dallo stomaco all’intestino: la valvola pilorica è una sorta di dogana dove ai grassi si richiedono tempi di attesa quasi doppi rispetto a proteine e carboidrati.
La pasta può essere accusata, in teoria, di non essere un alimento completo ed equilibrato. Tutto ciò è vero, almeno dal computo delle tabelle dietetiche, perché la pasta manca di grassi e le sue proteine scarseggiano di due aminoacidi importanti come la lisina e la treonina. Ma nessuno mangia la pasta del tutto scondita. Bastano un paio di cucchiaini di formaggio o del ragù per riequilibrare la completezza del piatto. La quantità di proteine, carboidrati e grassi varia da un tipo all’altro di pasta. La presenza di altri ingredienti, oltre alla semola di grano duro e all’acqua, potrà causare variazioni più significative, ad esempio sul livello di grassi e delle proteine se la pasta contiene uova e sul livello di fibra alimentare se la pasta è integrale. Le paste ripiene possono contenere molti grassi per la presenza di ingredienti come formaggio, uova, pesce, carne etc.
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di Marisa Cammarano

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