Dalla Fraschetta al fine dining: i Castelli Romani nel piatto
Quando si parla dei Castelli Romani, si pensa subito alla classica gita fuori porta della domenica con la fraschetta, la porchetta e il vino buono. E magari qualche stornello. Un’associazione immediata quasi come fosse un assioma matematico. E invece sono solo degli stereotipi, in parte superati, in parte da superare.
Siamo a sud-est della Capitale, in un’area che si è originata dalle continue eruzioni e poi dal collasso del Vulcano Laziale, che ha generato laghi, montagne e valli agricole. Un territorio storico, che dall’antichità è sempre stato la campagna dell’Impero Romano: sorgevano qui le vigne, era qui che si produceva il vino dei patrizi e tutte le materie prime che rifornivano le cucine dell’impero. Nel corso dei secoli successivi, i diversi feudi passarono sotto il dominio della Chiesa di Roma che divenne la proprietaria di tutta la zona. Territorio di grande valore e cultura enogastronomica, che ha scritto la tradizione, dando vita alle ricette tipiche di Roma e dintorni.
Oggi il territorio è cresciuto, si punta alla qualità dei prodotti e all’eccellenza, ed è proprio il concetto di alta qualità e modernità che si vuole far comprendere a chi ha ancora una visione bucolica dei Castelli Romani. Un’idea che non vuole dissacrare la tradizione, ma semplicemente valorizzarla secondo un approccio contemporaneo.
Sapevate, per esempio, che ai Castelli Romani oltre ai prodotti DOP e IGP rinomati come il pane di Genzano, le fragoline di Nemi o la Porchetta si producono lo zafferano, il topinambur, lo zenzero, il paksoi (una varietà di cavolo originario della Cina), ci sono sistemi di agricoltura idroponica per la produzione di erbe aromatiche o di germogli? Tutti ingredienti, tra vecchi e nuovi, che vanno ad arricchire la cucina tradizionale e innovarla, secondo la mission di chef intraprendenti.