Non dev’essere facile gestire un locale di una tale portata e con tanta affluenza. Siete partiti con la classica pizza napoletana ma nel tempo siete riusciti a diversificare?
Sì, dalle pizze fritte alla doppia cottura. Nel tempo, sicuramente i nostri impasti sono cambiati, non facciamo più un tipo diretto, ma dei prefermenti, cerchiamo di dare friabilità, scioglievolezza, lavoriamo su vari tipi di impasti, come il multicereali. Le persone si incuriosiscono, vogliono assaggiare, anche se l’impasto classico resta quello che va di più. Chi viene da noi lo fa perché vuole assaggiare la pizza napoletana e ama i prodotti prevalentemente campani, come il Provolone del Monaco, la salsiccia di suino nero o la mozzarella di bufala.
Visti i tanti posti a sedere, il menu è molto vasto o vi tenete sul semplice?
Facciamo sicuramente proposte stagionali: siamo in cinque proprio per gestire meglio le tante richieste. Poi ci siamo adeguati anche in termini di forno, oggi ne usiamo uno rotante. Chiaramente lavoriamo anche con prodotti locali come il Bleu d'Aoste, la toma, la fontina o il prosciutto cotto affumicato Saint-Oyen. Siamo ai confini con la Svizzera e la Francia, passano anche molti turisti e vogliono proprio provare cose locali. Dunque, proponiamo un po’ di prodotti campani e un po’ di prodotti territoriali.
Sei da tanti anni nel settore, quindi hai vissuto le fasi di cambiamento del mondo della pizza. Preferivi prima o adesso e cosa è maggiormente cambiato?
Non è più il mondo di una volta. Sicuramente sono cambiati impasti e gusti, oggi si lavora molto sui topping, i prefermenti, le cotture e soprattutto la qualità. Ritengo che non si debba mai dimenticare la storia. L’innovazione va bene, i tempi, la mentalità e le esigenze cambiano ma le radici sono importanti. Bisogna adeguarsi sì, ma mai perdere di vista la propria storia, da dove veniamo.
Quindi sei favorevole al gourmet?
(ride) A quello tradizionale. Scherzi a parte, credo che sia possibile solo in una pizzeria con pochi posti a sedere. Non sarebbe possibile in un locale tanto grande come il nostro.
So che sei stato anche pizzaiolo a Casa Sanremo, durante le giornate del Festival.
Sì. Eravamo in dieci, si lavora per le celebrità, un’esperienza bellissima, mi sembrava di essere a Disneyland: loro però non mangiano praticamente niente! Ho fatto anche il red carpet a Venezia ma ho preferito Sanremo, spero di rivivere l’esperienza.
Avete mai pensato di aprire al Sud?
Sì, ma preferisco non farlo. Non è facile la mentalità del sud, così come il modo di vivere purtroppo. Conosciamo bene la realtà di chi apre un’attività “giù”: non si vive e lavora serenamente, a differenza di qui. Attualmente stiamo pensando alla Svizzera, ma non è semplice, ci stiamo lavorando.
Qual è il segno distintivo vostro e del vostro impasto?
Lavorare sodo, curare il cliente. Noi siamo artigiani e cerchiamo sempre di alzare l’asticella. La materia prima è fondamentale. Il nostro impasto prevede una biga, lievitazione di 30 ore, la temperatura controllata e soprattutto prodotti di altissima qualità come ricotta di fuscella, provola d’Agerola, pomodoro San Marzano.
Che pizza mi faresti assaggiare?
La “Saulle Re”, la nostra pizza di battaglia, con la quale ho vinto un campionato a 17 anni: pomodoro ciliegino scarpariello, bocconcini di bufala di Mondragone, parmigiano e basilico fresco. Ma anche una “Donna Eleonora” con crema di zucchine, fior di latte, pancetta croccante e stracciatella; o, ancora, la “Carminuccio”, che viene prima fritta e poi asciugata in forno, con pomodorino confit, mozzarella di bufala, crudo e scaglie di parmigiano in uscita.
Però cucinate anche e ho visto che avete il bar: che ruolo gioca nel locale?
Abbiamo uno chef di Napoli che prepara piatti tradizionali, dalla terra al mare, come scialatielli ai frutti di mare, lo scarpariello o gli gnocchi alla sorrentina; ovviamente non manca la friggitoria napoletana. Abbiamo una bella carta di vini, prevalentemente campani, ma anche locali e non e dolci di nostra produzione e una carta di Sal De Riso. Il bar lo sfruttiamo più che altro per la preparazione dei dolci ma risulta utile per proporre un aperitivo ai clienti in attesa. Mi capita troppo spesso di aspettare, chiedere qualcosa da bere e sentirmi dire: “non serviamo aperitivi”, non è carino e non è funzionale. È giusto poter ingannare l’attesa bevendo qualcosa. Anche perché le persone sono molto impazienti: qui anche aspettare 20 minuti o mezz’ora non è molto gradito, ma ahimè, impossibile ovviare al problema. Per fortuna, c’è sempre da aspettare un po’!