WHISKEY O WHISKY? O MEGLIO UN GIN?

Abbinamenti felicemente insoliti

Grano, mais, orzo, malto d’orzo e segale: gli ingredienti alla base della maggior parte delle ricette nazionali ed internazionali di panificazione e pizzeria ci sono tutti, i processi di fermentazione anche, ma in questo articolo vi chiederò di spostarvi dal banco della pizzeria al bancone del bar. Tutti questi cereali (ed il malto d’orzo come derivato) li considereremo come base per la produzione di due capisaldi che non possono mancare in pizzeria: Gin e Whisky o Whiskey.
 
Nel caso del Whisky e del Whiskey non parliamo soltanto di ortografia ma di una diatriba tra Scozia (Whisky) ed Irlanda (Whiskey) che ne rivendicano entrambi la paternità: gli irlandesi mettono in campo il mito legato a San Patrizio (che avrebbe introdotto in Irlanda l’alambicco) e gli scozzesi rivendicano di essere in possesso del primo documento scritto (nel XV secolo) in cui un frate scozzese descrive il procedimento e le caratteristiche del Whisky. Ovviamente, le esportazioni hanno creato correnti produttive che seguono l’uno piuttosto che l’altro stile ed infatti troviamo una grande produzione di Whiskey o Bourbon (disciplinare esclusivo degli USA in cui almeno il 51% dei cereali utilizzati deve essere mais, come previsto dall’American Bourbon Association) ed una limitata (per quanto interessante) produzione di Whisky giapponesi che proprio a novembre 2024 festeggeranno il centenario dalla produzione della prima bottiglia.
 
Passando alle caratteristiche tecniche, la prima differenza sta proprio nel modo in cui il pregiato distillato viene lavorato: l’irlandese passa per ben tre distillazioni e usa sia malto che orzo non maltato, dando un gusto più dolce e delicato. Lo scozzese, invece, fa solo due passaggi e usa solo malto d’orzo ma la caratteristica distintiva dello scozzese è l’inconfondibile sentore di affumicato dovuto alla lavorazione del malto che viene essiccato in forni a torba e quindi assorbe l’aroma del fumo. L’irlandese, invece, viene essiccato in forni chiusi, senza fumo e quindi ha un gusto più morbido.
A livello “disciplinare”, l’età minima di maturazione è di almeno tre anni in botti di legno per entrambi ma il pregio di un distillato di questa tipologia è proprio nel tempo di affinamento ed invecchiamento che ne ammorbidisce le caratteristiche ed esalta le note aromatiche rendendo più pregiato il distillato man mano che si traguardano i 5, 10, 15, 20 o più anni, con un riflesso solitamente esponenziale anche sul costo delle bottiglie. Infine, anche il tipo di botte utilizzato per l’invecchiamento influisce notevolmente sul sapore finale: le botti ex-bourbon sono le più comuni; conferiscono note di vaniglia, caramello, cocco e spezie dolci. Le botti ex-sherry donano sentori di frutta secca, uvetta, spezie e talvolta note di cioccolato. Le botti nuove di rovere contribuiscono a rendere il whisky più tannico e legnoso, con note di spezie e vaniglia.
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Gli irlandesi vengono spesso invecchiati in botti di bourbon, che ne esaltano la dolcezza e la morbidezza. Gli scozzesi, invece, offrono una maggiore varietà di profili aromatici grazie all’utilizzo di diverse tipologie di botte. Possiamo convenire, dunque, che il Whiskey irlandese si presenta come un distillato più morbido, dolce e fruttato, mentre il Whisky scozzese è caratterizzato da note affumicate, speziate e talvolta più robuste. La scelta tra i due dipende dai gusti personali ma consiglio di provare entrambe le tipologie perché offrono un’esperienza di degustazione unica e affascinante.
 
Per quanto concerne gli abbinamenti, in Italia, con un pubblico non sempre abituato ai distillati esteri, consiglierei di iniziare un percorso con degli assaggi mirati ad abituare il palato al connubio pizza e whisky/whiskey, come ad esempio un assaggio abbinato alle note affumicate e torbate del Whisky Talisker 10 che si adattano alla dolcezza della cipolla caramellata e alla sapidità della salsiccia. Altra soluzione potrebbe essere quella di studiare una serie di cocktail per sfruttare al meglio il connubio con la pizza come, ad esempio, una pizza fritta con salumi, abbinata ad un “Sicilian Sour”, una ricetta del barman Daniel Burns, sviluppata per il Pizza Party featuring 4 Sonoma Distilling whiskey cocktails, per il Bar “Nonnina” di San Francisco (USA): bourbon giovane, limone fresco, sciroppo di zucchero e lambrusco.
 
Altro consiglio: provare un abbinamento tra Whiskey morbidi e vanigliati con pizze a base di formaggi intensi, come potrebbe essere una classica gorgonzola e pere. Ho personalmente sperimentato con successo un abbinamento tra Whisky con un sentore torbato particolarmente intenso con una pizza dai sentori affumicati che richiama la terra come speck, provola affumicata e funghi. Con la stessa pizza, è possibile procedere anche con un abbinamento meno strong: il classico “whisky&soda”.
Passando ad abbinamenti decisamente più semplici e conosciuti, negli ultimi anni ristoranti e pizzerie di tutto il mondo hanno cominciato a proporre accostamenti creativi tra gin e pizza grazie alla possibilità di accompagnare il sapore degli ingredienti con una vasta versatilità aromatica.
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La storia del Gin ha radici nel Medioevo, quando i monaci europei iniziarono a distillare alcolici a scopo medicinale, utilizzando erbe e spezie per trattare varie malattie. Il ginepro, con le sue proprietà antisettiche, era uno degli ingredienti chiave e potremmo riconoscere in questo senso anche una radice del distillato di ginepro in Italia grazie agli infusi preparati dai monaci della Scuola Medica Salernitana.
 
In qualità di distillato inteso come bevanda, sicuramente la paternità è riconosciuta all’Olanda con l’invenzione del jenever nel XVII secolo, un liquore a base di ginepro e altre erbe, usato inizialmente come rimedio per la salute. Dall’Olanda all’Inghilterra il Gin arrivò grazie al passaparola dei soldati che lo riportarono in patria, dove divenne subito popolare con il nome di gin.
 
Sperimentare con il gin, scegliendo sapori che si bilanciano con gli ingredienti della pizza, può creare combinazioni sorprendenti e gustose.
Alcune idee per gli abbinamenti possono essere: Pizza Margherita & Gin Tonic, dove la freschezza del gin tonic con il suo sapore agrumato si abbina bene con la semplicità della Margherita; Pizza Bufala e Prosciutto Crudo & Negroni: in questo caso l’amaro del Negroni bilancia il gusto del prosciutto e della mozzarella; Pizza ai Frutti di Mare & Gin con cetriolo e basilico: in questo caso il gin aromatizzato con cetriolo o basilico si abbina bene con pizze a base di pesce o frutti di mare, offrendo freschezza e leggerezza; Pizza alla Diavola & Gin speziato: un gin con note di spezie, magari esaltato da una tonica allo zenzero, può stemperare il piccante del salame e del peperoncino.
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Concluderei questo excursus alcolico, suggerendo di studiare gli abbinamenti per concordanza e non per contrasto e basarsi sulla tecnica come base per creare il giusto mix di sapori e consistenze. Si potrebbe pensare di introdurre in pianta stabile il servizio cocktail in pizzeria, con la presenza di un “carrello bar” con un barman professionista che sia in grado di interpretare le richieste della clientela. Solo mixando la conoscenza degli ingredienti e delle pizze, si potrà suggerire un cocktail che si adatti al palato ed alle richieste della clientela ma che non vada in contrasto con la pizza ordinata (cosa che potrebbe avere effetti catastrofici sul gusto).
 
UNA POSTILLA
Alla ricerca di “ispirazione”, mi sono imbattuto nella carta cocktail del “Double Chicken Please” di New York, un bar che da anni è nella top 3 dei bar newyorkesi. Vi invito a dare una lettura alla carta, perché nel tempo il barman ha sviluppato l’unicità della sua proposta realizzando una serie di proposte “liquide, ma non troppo” con dei cocktail che richiamano i piatti maggiormente amati della Grande Mela tra cui il famoso Cold Pizza (richiama la pizza e si ispira al celebre Margarida), Grey Goose French Toast, “NY Beet Salad” e molti altri: doublechickenplease.com/pages/the-coop
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di Domenico Maria Jacobone

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