Artigiano e robot. Chi sarà il pizzaiolo del futuro?

Nel 2017, mentre l’Italia si batteva per il riconoscimento Unesco dell’arte del pizzaiuolo napoletano, proprio a Napoli, l’Università “Federico II”, con un team capitanato dal prof. Bruno Siciliano, portava avanti la sua ricerca sul perfezionamento di un prototipo di robot pizzaiolo.
Certo, l’idea della sostituzione con degli automi non entusiasma nessuno ed è al centro di molteplici riflessioni che, a partire dagli anni ’50, hanno popolato le fantasie popolari e le scrivanie colte. Basti pensare che perfino Totò fu protagonista, in un film del 1958 (Totò nella luna) insieme a Ugo Tognazzi sotto la direzione di Steno, di una simpatica rilettura della questione degli “ultracorpi”.
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Francamente, però, ho ritenuto sin da subito “tafazziana” (se non conoscete il Tafazzi di Aldo, Giovanni e Giacomo, ne consiglio vivamente la visione) la velleità tutta ingegneristica di volere automatizzare i mestieri, prima e le professioni, poi. Nel 2017, l’intelligenza artificiale esisteva già ma non era a portata di smartphone, eppure la direzione intrapresa era chiara: riuscire a ridurre il carico di lavoro umano, affidando alle macchine la parte più pesante.
In questo mondo, in cui l’euforia tecnologica si combina con le perplessità ispirate dall’etica, l’esperienza di “Pazzi Pizzas” a Parigi è stata altamente significativa. Nata all’incirca nello stesso periodo degli studi napoletani su Rodyman, quella di “Pazzi” è una storia che ha dell’incredibile, perché nasce a pochi passi dai ristoranti più amati del mondo e si professa come un “fast good food”, ossia un cibo veloce e buono. Il suo claim era: “Come for the show, stay for the pizza”, ovvero “Vieni per lo spettacolo, resta per la pizza”. Nel 2022, l’esperienza è stata dichiarata conclusa ma non per gli interrogativi che ha suscitato.
 
Se le mani sono sostituibili, lo è anche il pensiero? Un processo fortemente standardizzato, come quello assegnato a un robot, riuscirà mai a dotarsi di problem solving “non matematico”? Faccio qualche esempio: quante volte abbiamo visto pizzaioli spostare le cassette d’impasto da una parte all’altra del locale o posizionare la pizza in spazi diversi del forno? Quante volte abbiamo visto un pizzaiolo aggiustare la pizza sulla pala dopo averla stesa, con l’obiettivo di non sprecare il condimento già adagiato sul disco di pasta ma, nel contempo, rimediare a qualche imperfezione?
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È evidente: quello che noi ipotizzavamo fosse il futuro è già arrivato e non ha certo bussato alla porta per farsi aprire ma si sta con fermezza imponendo sulla scena della ristorazione.
Come spesso accade, è partito dai piani più “bassi” di questo settore: il fast food, prima; la pizzeria, poi. Ma è già arrivato anche al ristorante. Basti pensare che a Salerno, nel centralissimo corso Garibaldi, è attivo da qualche mese il ristorante “Syncronia” (ristorantesyncronia.it), nel quale scompare la figura del cameriere e chi condivide il tavolo mangia insieme, senza attese, con lo chef orchestratore indiscusso, per organizzazione e qualità.
 
Ma come funziona? Su ogni tavolo è presente un disco “volante” sullo stile di quelli ipotizzati da Ritorno al Futuro 2. Lo chef, dalla cucina, predispone su questo tavolo i piatti che saranno poi calati dall’alto, direttamente al posto della persona che li ha ordinati. Ogni piatto è curato direttamente dallo chef che impiatta e, grazie alla tecnologia appena descritta, serve direttamente al tavolo, garantendo così la massima igiene e il totale comfort per gli ospiti.
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Per ora, dunque, il robot si fa pizzaiolo, cameriere (come abbiamo anche già visto in numerose fiere di settore) ma non è detto che un giorno diventi chef (magari premiato), ingegnere e, forse, anche moglie o marito.
Come in Her, il bellissimo film del 2013 scritto e diretto da Spike Jonze, in cui il protagonista Theodore Twombly (interpretato da Joaquin Phoenix) s’innamora della voce del sistema operativo del suo smartphone. Peccato che le macchine abbiano (per ora) un’unica visione dell’amore, non basata sull’esclusività ma sulla densità delle emozioni. E questo è un altro capitolo che forse meriterebbe un approfondimento… ma non ora e non qui.
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di Antonio Puzzi

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