Francamente, però, ho ritenuto sin da subito “tafazziana” (se non conoscete il Tafazzi di Aldo, Giovanni e Giacomo, ne consiglio vivamente la visione) la velleità tutta ingegneristica di volere automatizzare i mestieri, prima e le professioni, poi. Nel 2017, l’intelligenza artificiale esisteva già ma non era a portata di smartphone, eppure la direzione intrapresa era chiara: riuscire a ridurre il carico di lavoro umano, affidando alle macchine la parte più pesante.
In questo mondo, in cui l’euforia tecnologica si combina con le perplessità ispirate dall’etica, l’esperienza di “Pazzi Pizzas” a Parigi è stata altamente significativa. Nata all’incirca nello stesso periodo degli studi napoletani su Rodyman, quella di “Pazzi” è una storia che ha dell’incredibile, perché nasce a pochi passi dai ristoranti più amati del mondo e si professa come un “fast good food”, ossia un cibo veloce e buono. Il suo claim era: “Come for the show, stay for the pizza”, ovvero “Vieni per lo spettacolo, resta per la pizza”. Nel 2022, l’esperienza è stata dichiarata conclusa ma non per gli interrogativi che ha suscitato.
Se le mani sono sostituibili, lo è anche il pensiero? Un processo fortemente standardizzato, come quello assegnato a un robot, riuscirà mai a dotarsi di problem solving “non matematico”? Faccio qualche esempio: quante volte abbiamo visto pizzaioli spostare le cassette d’impasto da una parte all’altra del locale o posizionare la pizza in spazi diversi del forno? Quante volte abbiamo visto un pizzaiolo aggiustare la pizza sulla pala dopo averla stesa, con l’obiettivo di non sprecare il condimento già adagiato sul disco di pasta ma, nel contempo, rimediare a qualche imperfezione?