La cucina della Mamma

Laura Plaga porta l’Italia nel piatto in Provenza

Laura Plaga è titolare del ristorante pizzeria “La mamma”, situato a due passi dall’arena romana di Arles, alle porte della Provenza e della Camargue.
 
Laura si è trasferita in Francia perché si è perdutamente innamorata di questi luoghi durante un viaggio di studio per approfondire la conoscenza del Francese.
 
«I miei genitori avevano un bar – tabacchi e trattoria in Italia», ci racconta. «Poi, a un certo punto, mio papà venne a mancare ma io e mia sorella eravamo troppo giovani per gestire da sole il locale, quindi mia madre decise di vendere, con la promessa che un giorno mi avrebbe aiutato a comprare un locale tutto mio. Così, poiché fino ad allora avevo lavorato con loro, mi ritrovai con molto tempo libero e decisi di venire un po’ in Francia. Ero venuta qui in vacanza e per imparare il francese, per migliorarmi in francese; per caso, trovai lavoro e restai qui; poi, un bel giorno, ho telefonato a mia madre e le ho detto: “Ora sono abbastanza grande, ho 38 anni e, se puoi, è il momento di aiutarmi a comprare il mio locale”. Siccome avevo già lavorato qui, dove ora c’è il mio locale, sapevo che il posto sarebbe stato ottimo, così ho chiesto al proprietario se me lo vendesse. All’inizio mi disse di no ma poi, dopo un po’, l’ha venduto. E successivamente è diventato il mio compagno ma questa è un’altra storia.» 
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Quanto è apprezzata in Francia la cucina italiana?
 
“Penso sia molto apprezzata, oggi c’è anche un po’ la moda della pasta al dente, si sente parlare spesso di Dieta Mediterranea… e poi sono tutti proprio entusiasti dell’Italia, della cultura italiana. La gente dice che noi siamo tutti artisti, che siamo musicisti, che abbiamo una lingua “qui chante”, dicono loro, ovvero molto musicale. E, quindi, insomma, si diventa proprio fieri di essere italiani stando all’estero.”
 
Da chi è formato il pubblico del tuo locale?
 
“Sicuramente, tanti italiani e francesi. Poi, ci sono tantissimi tedeschi, belgi, americani, olandesi e spagnoli, quindi c’è anche un bello scambio. Se tornassi indietro, rifarei la scelta che ho fatto, però avrei fatto la scuola alberghiera. Ho una maturità in grafica e fotografia, grafica tecnica, grafica della pubblicità, insomma non c’entra niente. Però i miei genitori erano in questo settore qui e, quindi, alla fine della fiera, sono ritornata alla sorgente.”
 
È una bella storia! Mi interessa anche capire quali sono per esempio alcune delle ricette che proponi nel tuo locale. 
 
“Diciamo anche che poiché il locale si chiama “La mamma”, non posso che proporre una cucina semplice, familiare, ovvero: lasagne, cannelloni. E poi facciamo tutto con prodotti freschi fatti al momento.”
 
Tu sei di Milano: la cotoletta alla milanese la fai?
 
“Ma certo! Anche se ho dovuto fare un sacrilegio! Perché ai francesi piace mangiare la pasta con la carne e, allora, bisogna accontentarli. Così, ho dovuto mettere la cotoletta alla milanese con di fianco la pasta alla bolognese, ed è proprio una cosa a cui non ho mai potuto abituarmi; ogni volta che la porto dico: non è possibile. Eppure, a loro piace così. Però, se sento che c’è un tavolo di italiani, non lo chiedo neanche e porto il contorno normale con patatine, verdure o un po’ di insalata.”
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Da dove prendi i prodotti per realizzare queste ricette italiane?
 
“Abbiamo dei fornitori molto validi che mi conoscono bene, infatti mi dicono che sono un po’ “rompi” perché sono molto esigente sulla qualità: se non mi piace, rimando indietro le consegne. Ho trovato un bravo fornitore qui ad Arles; a dire il vero, ne ho due e poi ho anche un vicino di casa che fa i mercati; quindi, a volte mi rifornisce per le verdure. Prima, però, mi dicevi che hai dovuto modificare alcune ricette italiane per il pubblico locale: fino a che punto per te la tradizione è importante? È importante, però, diciamo che non ho dovuto neppure modificare molto. A parte il contorno della cotoletta, i saltimbocca, per esempio, li abbiamo dovuti arrotolare perché altrimenti, quando li fai cuocere distesi, il prosciutto diventa un po’ secco e ai francesi questa cosa non piace.”
 
E le lasagne, invece, le hai modificate?
 
“No, le lasagne no: quelle non si toccano, poi piacciono così.”
 
La Francia, comunque, ha una cucina straordinaria, ricchissima anche di ricette e di ingredienti: cosa possiamo offrire noi italiani alla Francia?
 
“Diciamo che possiamo offrire la semplicità, perché i francesi sono sempre “un po’ complicati”. Alla fine, invece, se si fa scoprire che magari anche solo pomodoro, mozzarella, due foglie di basilico, un goccio d’olio d’oliva è un piatto buonissimo e che non c’è bisogno di fare le salsine, si abituano e apprezzano.”
 
Qual è il tuo piatto preferito che proponi in questo locale?
 
“Beh, penso le lasagne o la cotoletta alla milanese.”
 
Come la fai la lasagna?
 
“Allora le lasagne che prepariamo qui le chiamano “alla bolognese”. Quindi facciamo il ragù e la besciamella, poi sbollentiamo le lasagne (perché sui pacchetti c’è scritto che si possono mettere al forno anche così ma non è vero, non è la stessa cosa, bisogna sbollentarle) e poi fai gli strati con ragù e besciamella. Poi, ci mettiamo sopra un po’ di Emmenthal, perché qui la fontina non c’è e poi il Parmigiano lo mettiamo di fianco sul tavolo, perché non piace a tutti. Però, è successo che, nel corso degli anni, mi sono accorta di questo cambiamento sul Parmigiano: prima non lo volevano e poi si sono abituati e lo mangiano tutto; sono diventati dei fan del Parmigiano, anche.”
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C’è un piatto che ti ricorda la tua infanzia?
 
“Mia mamma faceva i ravioli, che io non riesco a riproporre al locale perché richiedono tempi di preparazione troppo lunghi: mia mamma cominciava il giorno prima a cuocere le carni. Poi, si conditi o con solo burro e salvia oppure faceva il brasato e, poi, col sugo del brasato venivano conditi.”
 
Quanto è importante per te la sostenibilità nella proposta di cucina del tuo locale?
 
“Molto importante: già negli acquisti cerco di comprare prodotti “a chilometro zero” per ridurre la distanza del trasporto; poi, con i resti alimentari, c’è l’aiuto cuoco che ha degli animali, li mette in un secchio e li porta ai suoi animali.”
 
E tu non hai animali da cortile, un orto?
 
“Io prima avevo delle galline che poi le volpi mi hanno mangiato. Insomma, mi sono stufata perché la volpe è furba e riesce sempre a entrare.”
 
Cos’è per te la cucina italiana?
 
“La cucina italiana è una tradizione. E, poi, è una cosa seria, perché spesso si ha l’impressione che all’estero l’alimentazione sia presa sottogamba; invece, ormai tutti i medici dicono che è fondamentale per la salute; quindi, è anche una responsabilità preparare da mangiare per gli altri. La cucina italiana, diciamo, che invece quasi “istintivamente” è orientata su tutte le cose che fanno bene.”
 
Qual è il futuro della cucina italiana all’estero secondo te?
 
“Secondo me, ha un grande avvenire. Perché piace e poi non è costosa, cioè con poche cose si possono preparare dei piatti prelibati.”
 
Questo articolo, così come l’intervista a Ivan Pasquariello apparsa nel numero di dicembre, è frutto di un viaggio di ricerca etnografica compiuto nel Sud della Francia grazie ad un progetto finanziato su fondi PNRR nell’ambito del Dottorato di ricerca nazionale in Heritage Science, coordinato dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e dall’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”.
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di Antonio Puzzi

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