Il mondo del gelato, specchio della gastronomia
Come la pizza, anche il gelato esprime un concetto più che una mera preparazione: un know how che, sebbene non sia di origine italica, qui si è sviluppato ed evoluto, assumendo caratteristiche peculiari che lo distinguono da tutti gli altri appartenenti della famiglia dei freddi. Anche (ma non solo per questo) non è traducibile né confondibile con icecream o creme glacés. Potremmo farne una banale storia di numeri, sciorinando statistiche e percentuali, concentrandoci sui fatturati e consumi di coppette pro-capite, esplorando la distribuzione sul territorio nazionale e sul calendario, eppure nessuno di questi dati, da solo o combinato, riuscirebbe comunque a dare una fotografia rappresentativa ed esaustiva di quello che è il variegato mondo del gelato italiano nel Belpaese e nel mondo.
Non è nemmeno così facile ridurre il tutto in “artigianale” e “industriale”: esistono infatti una serie di sfumature che rendono la classificazione della produzione gelatiera più complicata di quel che sembra, non solo per la biodiversità di ingredienti e di creatività che ci contraddistingue, ma anche per una pruriginosa questione burocratica che rende ulteriormente faticosa una suddivisione chiara e priva di fraintendimenti. Nel nostro comune pensare infatti, siamo soliti ricondurre al mondo dell’artigianale un prodotto fatto a mano, unico e riconoscibile, rispettoso delle tradizioni e - perché no? - genuino. Peccato che ognuno di questi concetti viene contraddetto nei fatti quando si parla di gelato, soprattutto di gelato contemporaneo visto che, ad esempio, nessuno di questi potrebbe esistere ed essere prodotto a mano, senza l’impiego di macchine, che miscelano, pastorizzano, mantecano, stabilizzano e conservano affinché il risultato finale esprima al meglio le proprie caratteristiche organolettiche.