Agricoltura sostenibile in rosa

Nel grande arazzo della storia umana, le donne hanno tessuto con sapienza i fili dell’agricoltura, tramandando di generazione in generazione una conoscenza profonda dei ritmi della terra.
 
Dalle prime albe della civiltà, mentre gli uomini seguivano le tracce della selvaggina, furono le mani femminili a scoprire la magia della germinazione, a comprendere il linguaggio silenzioso dei semi, a decifrare i segreti della fertilità del suolo. Nel tessuto vibrante dell’agricoltura contemporanea, le donne continuano a tessere una nuova narrazione, antica quanto la terra stessa, eppure rivoluzionaria nella sua visione. Come custodi di una sapienza millenaria, le agricoltrici stanno ridisegnando il paesaggio alimentare globale, un viaggio che parte dalle difficoltà della terra rossa del Sahel e vola sulle Ande, riprende fiato nelle sconfinate pianure americane per giungere sui dolci pendii delle colline italiane. Ogni solco tracciato racconta una storia di rinascita e di sapiente gestione delle risorse.
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In questo contesto, è stata portata recentemente alla ribalta da libri e film la storia della vedova Clicquot che, nel settore dell’enologia, brilla come un esempio luminoso di questa eredità femminile. Nel cuore della Champagne, regione dove i filari di vite disegnano geometrie perfette sui pendii gessosi, Barbe-Nicole Ponsardin (che conosceremo nel mondo come la “Veuve Clicquot” dell’omonima maison de Champagne), trasformò il lutto in rinascita, innovando per sempre il mondo dei vini fermentati. Il suo metodo della remuage non fu solo una rivoluzione tecnica ma una testimonianza di come l’intuizione femminile potesse sposarsi con la precisione scientifica, creando un prodotto che ancora oggi racconta di eccellenza e visione. Nel panorama dell’agricoltura mondiale, le donne stanno guidando un cambiamento rivoluzionario, portando innovazione e sostenibilità dal campo alla tavola. Come in una grande cucina, dove ogni ingrediente ha la sua importanza, queste agricoltrici stanno creando nuove ricette per il futuro della terra, combinando tradizione e innovazione con risultati straordinari.
 
Per raccontarvi al meglio la sostenibilità in rosa, ho analizzato la sesta edizione del “Women Led Solution” dell’ONU pubblicata a fine 2024: un report sull’evoluzione agricola portata avanti dalle donne nel mondo che mi ha aperto mente e cuore ad esperienze varie e straordinarie che ho provato a condensare di seguito. In Kenya, le donne Maasai hanno creato delle vere e proprie “banche dei semi”, conservando varietà di erbe preziose che garantiscono pascoli sani e produttivi. La loro dedizione mi ha ricordato il professionista della panificazione che custodisce il suo lievito madre: queste donne proteggono i semi che daranno vita ai futuri raccolti, assicurando la qualità delle materie prime per gli anni a venire. Nella zona più interna del Kenya, le donne Samburu dimostrano come la saggezza antica possa sposarsi con l’innovazione. I loro orti sinergici e i sistemi ingegnosi di raccolta dell’acqua trasformano il paesaggio arido in un giardino produttivo, mentre gli argini semicircolari, costruiti con perizia millenaria, proteggono il suolo prezioso dall’erosione con un’efficacia del 60%. In Senegal, l’Association Diaoule D’Abord è come una scuola di cucina all’aperto, dove le donne insegnano l’arte della coltivazione sostenibile.
 
Nei loro campi, organizzati razionalmente come fossero in una dispensa ben fornita, crescono piante resistenti alla siccità, garantendo ingredienti di qualità anche nelle stagioni più difficili. Nel Niger vicino, le donne del gruppo CERNAFA hanno trovato nella coltivazione delle cipolle la loro specialità, creando un sistema cooperativo che permette loro di acquistare terreni e attrezzature. In Perù, le sorelle Machaca Mendieta sono portatrici d’acqua: hanno creato 170 laghi artificiali che forniscono acqua a migliaia di persone, permettendo di coltivare anche in periodi di siccità. In Brasile, il “Quaderno Agroecologico” è come il libro delle ricette di famiglia: le donne annotano le tecniche e gli antichi saperi di tutto ciò che producono nei loro orti, dando finalmente un valore concreto al loro lavoro quotidiano, ma soprattutto creando un documento da tramandare alle future generazioni.
 
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A Cuba, le agricoltrici sono diventate vere esperte di tecniche innovative, come chi sperimenta nuove ricette rispettando la tradizione. Studiano il territorio e il clima, adattando le loro coltivazioni ai cambiamenti stagionali, proprio come nei ristoranti si modifica il menu seguendo la disponibilità degli ingredienti. In India, la tecnologia Bhungroo per la gestione dell’acqua è come un sistema di conservazione all’avanguardia: permette di non sprecare neanche una goccia della preziosa risorsa, garantendo raccolti anche nelle stagioni più secche.
 
Nel panorama italiano, l’agricoltura femminile fiorisce con eguale vigore e creatività. In Lombardia, l’azienda Ferri/Le Zilli rappresenta un esempio luminoso di come tre generazioni di donne abbiano saputo reinventare la tradizione. Il bambù gigante, sotto le loro mani sapienti, si trasforma in un ventaglio di possibilità: dalle cannucce biodegradabili alla farina senza glutine, ogni prodotto racconta una storia di innovazione e rispetto ambientale. La rete “Slow Flower” italiana aggiunge un capitolo di particolare bellezza a questa narrazione.
Dal Monferrato, dove Marzia Barosso nella sua Viale Flower Farm coltiva duecento specie floreali come un’artista del paesaggio. In Toscana, le sorelle Laura, Teresa e Mara Cugusi che hanno fondato “Puscina Flowers”, azienda agricola e primo studio di Floral Design completamente BIO nel cuore della Toscana. Partite dalla raccolta di fiori selvatici, graminacee e varietà spontanee, oggi coltivano oltre duecento specie e quattrocento varietà di fiori e fogliami.
Intervistando un’agricoltrice, Carola Ghivarello dell’azienda agricola “Cascina di Francia” di Moncrivello (VC), ho scoperto una storia affascinante di amore per la terra e trasmissione del sapere da parte dei nonni, temporaneamente accantonata per seguire il sogno di diventare architetta. Durante lo studio di un bando per la ristrutturazione del casale diventato il quartier generale di “Cascina di Francia”, Carola ha risposto al richiamo di questa antica vocazione ed ha cambiato completamente ritmi e vita per diventare coltivatrice diretta. Lo studio e le tecniche più moderne apprese durante il suo percorso formativo, sono state la base per impostare la sua azienda agricola biologica adottando, ad esempio, pratiche come l’irrigazione di precisione, privilegiando il km 0 e riducendo al minimo l’uso di acqua e le lavorazioni del terreno. Da più di dieci anni utilizza compostaggio con scarti vegetali concime naturale al posto di fertilizzanti chimici, per ripristinare naturalmente la fertilità del suolo. Parlando di prodotti, Carola nelle sue composte di frutta non aggiunge zuccheri, mantenendo intatte le proprietà organolettiche. Oltre ai suoi prodotti, vende anche quelli di altri agricoltori locali, offrendo ai clienti un ritorno ai gusti naturali ed una scelta che da sola non potrebbe sostenere. Il suo minestrone, ad esempio, varia in base alla stagione e alle verdure disponibili. Carola sottolinea come l’agricoltura offra spazio all’imprenditoria femminile, con molte aziende gestite da donne capaci e innovative. I numeri che ho raccolto testimoniano l’efficacia di questa rivoluzione silenziosa: il 31,3% delle aziende agricole italiane parla al femminile, percentuale che si eleva al 45% nel settore biologico.
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Nel contesto italiano, i dati delle ricerche HUN-REN e Nature evidenziano un quadro significativo dell’imprenditoria agricola femminile e del suo impatto sulla sostenibilità del settore. Le aziende gestite da donne registrano una riduzione del 30% nell’utilizzo di pesticidi e una probabilità del 40% superiore di adottare pratiche biologiche, accompagnate da una maggiore diversificazione delle colture.
Un caso emblematico di applicazione della tecnologia è rappresentato dal progetto “Evoluzione Terra” di “New Holland Agriculture”, che supporta 15 aziende agricole femminili attraverso l’introduzione di macchinari ad alta efficienza, ottenendo una riduzione del 20% dei consumi energetici grazie all’implementazione della trattoristica di precisione e promuovendo lo sviluppo di filiere corte per il 65% delle produttrici partecipanti. Come sottolinea Daniela Ropolo di “CNH Industrial”, questo processo sta ridefinendo i modelli produttivi attraverso l’integrazione di tecnologia avanzata e competenze tradizionali. Tuttavia, persistono significative barriere strutturali: il 38% delle imprenditrici affronta limitazioni nell’accesso al credito, le dimensioni aziendali medie risultano inferiori del 25% rispetto alle imprese maschili, e solo il 12% dei fondi PAC è specificamente destinato a progetti femminili.
Per superare questi ostacoli, sono state identificate tre linee d’intervento prioritarie: l’implementazione di programmi di formazione tecnologica mirata, l’introduzione di strumenti di microcredito agevolato per l’acquisto di terreni e lo sviluppo di certificazioni gender-sensitive per i prodotti sostenibili.
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di Domenico Maria Jacobone

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