Quali sono gli spunti che ha ricavato da quest’annata di pizzerie visitate ed analizzate?
“Innanzitutto una grande voglia di andare avanti, e di utilizzare il tempo avuto a disposizione – causa pandemia e relative restrizioni – per studiare, migliorarsi, sperimentare nuovi impasti, diversificare l’offerta: noi manteniamo convenzionalmente ancora le diverse suddivisioni come la scuola napoletana romana o della pizza degustazione ma di fatto ci che abbiamo notato nell’ultimo anno che il mix di offerta trasversale. Il fatto di aver studiato e di aver deciso di implementare la carta degli impasti fa si che un cliente spesso abbia la libertà di poter scegliere nella stessa pizzeria una napoletana piuttosto che una pizza al padellino e così via. Molti professionisti poi hanno cominciato a coltivare il proprio orto sia per seguire la stagionalità della materia prima sia per proporre una pizza che sia – uso un termine sicuramente abusato – sostenibile ed infine abbiamo rilevato, in linea generale, un’attenzione marcata alle intolleranze. Conseguentemente – grazie allo studio ed ai progressi anche dell’industria – le pizze dedicate ad esempio ai celiaci non sono nemmeno paragonabili a quelle di qualche anno fa.
E’ cresciuta l’attenzione anche verso la sala. E’ chiaro che il discorso che stiamo facendo riguarda quella fetta di pizzerie che finiscono nella Guida (quindi una percentuale piccola rispetto al numero pressoch sterminato di attività che propongono pizza) per ritengo sia un segnale importante che si parli di servizio nelle pizzerie. Notiamo la voglia di prestare attenzione, di avere una carta delle bevande, di avere una persona deputata alla sala e di comportarsi sempre più come un ristorante: basti pensare che una volta in pizzeria il “fine pasto” non esisteva, eccezion fatta per il dolce industriale. Ora specialmente chi ha la possibilità di gestire la pizzeria in realtà familiari comincia a suddividersi ruoli e specializzazioni ed iniziamo a vedere anche il/la pastry chef di famiglia: il panorama è cambiato e cambierà ancora. Ritengo che tutto ciò sia confortante, perchè in un prodotto all’apparenza semplice come ad esempio una Margherita invece il professionista deve (e sa) scegliere la farina giusta e padroneggiare le tecniche d’impasto, saper scegliere la mozzarella ed il pomodoro con determinate caratteristiche, il basilico o l’origano presi magari mezz’ora prima dal proprio orto: tutti dettagli che fanno la differenza, che invogliano il cliente a tornare e che sono possibili solo se il professionista ha voglia di crescere.”