Gino Sorbillo: "il mio è un racconto libero".

Gino Sorbillo non necessita certamente di presentazioni. È stato tra i primissimi a portare in tv e nei media generalisti quell’attenzione sulla professione di pizzaiolo quando ancora era assente tra gli interessi del grande pubblico. Sorbillo è un professionista che, dalla storica sede di Via dei Tribunali a Napoli, passando per il lungomare del capoluogo (Via Partenope) ha aperto con il suo brand numerose altre sedi, tra cui Milano, Roma, New York e Tokyo. Con lui affrontiamo il rapporto oramai strettissimo tra la comunicazione, la pizza e la figura del pizzaiolo.
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Critica e pubblico: su quale di questi due soggetti bisogna contare di piò per essere una pizzeria di successo?

Entrambi, perchè la critica serve, non si deve mai abbassare la guardia; credo fermamente che nonostante vi possa essere in qualche caso amicizia con giornalisti enogastronomici sia bene non confonderla e non abbassare la guardia sulla qualità di quello che proponi nel piatto. Ho assistito in tanti casi al fatto che molti pizzaioli – conoscendo i giornalisti – dessero per scontato di ottenere in cambio una buona recensione; questa per me non è amicizia, è una distorsione del rapporto. Puoi anche avere l’onore di conoscere giornalisti o esperti del settore ma non puoi pretendere che parlino soltanto bene di te; questo l’ho visto accadere troppo spesso, in Campania come in molte altre realtà in Italia.

Social e web: chi compare di più? Tu o la tua pizza?

Compariamo entrambi nello stesso modo, non c’è oramai più distinzione tra l’uomo e la sua attività, perchè io per primo – ma anche i miei clienti – hanno abbinato me al prodotto ed il prodotto alla mia figura. Dire Gino Sorbillo significa dire pizza e in tanti casi è vero anche il viceversa.
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Sei stato tra i primi pizzaioli a comunicare con il grande pubblico: quanto incide la comunicazione sul bilancio della tua pizzeria?

Più che una strategia di comunicazione vera e propria, il mio è un modo di approcciarmi, ovvero dire sempre e solo quello che faccio realmente, con i mezzi che ho a disposizione. Non ho mai pensato di fare comunicazione, quella la fanno agenzie e uffici stampa e ce ne sono parecchi davvero bravi. Io, per scelta, anche per carattere se vuoi, ho sempre cercato di vedermela da solo. Certamente ho anche commesso errori, ho cercato di fare tesoro degli sbagli e di rimediarvi, però ho sempre voluto rimanere libero di raccontarmi. Ecco, più che comunicazione, il mio è un racconto e sono libero di scegliere come farlo e dove farlo.

Visto che abbiamo introdotto il concetto di racconto, ti chiedo allora quali siano le cose che dovrebbe fare (e non fare) un professionista per raccontarsi al suo pubblico…

Io penso che si debba far conoscere la propria identità e quella del prodotto che si fa, perchè negli ultimi anni ho notato anche nel nostro mondo una tendenza a scimmiottare modi e principi che non ci appartengono, storie o pensieri di qualcun altro copiati e fatti propri. Ritengo questo modo di fare errato: se un professionista vive e lavora nel Cilento, ad esempio, ed ha avuto un suo percorso specifico, a mio avviso è sbagliato che si metta a raccontare la pizza del centro storico di Napoli. Può farlo ovviamente ma non riuscirò a raccontare bene ciò che non è nel suo Dna, che non gli appartiene. Capita che si copino le creazioni degli altri, perchè si vede che c’è riscontro da parte del pubblico, capita che addirittura si copi l’atteggiamento, il modus operandi. Anch’io sono stato spudoratamente copiato: nel modo di pormi, di atteggiarmi, addirittura alcune frasi di anni fa ripetute come una cantilena... Ma è sbagliato, perchè “tradisci” la tua identità, non ti appartiene.
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Entrare in una Guida può significare – per quelli non citati – che i segnalati siano scesi a “compromessi” con i grandi marchi: cosa serve invece per farsi davvero apprezzare da una Guida?

Penso che serva la libertà di poter lavorare serenamente, di potersi esprimere: il pubblico apprezza molto la libertà, il coraggio che esprimono tanti di noi e la verità che c’è nel piatto. Libertà, coraggio e verità nel piatto: che poi siano legati ad un prodotto piuttosto che ad un altro solitamente il critico questo non lo considera, mentre è molto interessato all’anima del prodotto che proponi.
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di D.M.

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