Pecorino Romano e Pecorino Sardo: identità e caratteristiche

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Sono due tra le eccellenze casearie più antiche al mondo, simbolo della tradizione gastronomica italiana: parliamo del Pecorino Romano e del Pecorino Sardo, prodotti a marchio Dop, simboli delle rispettive regioni di origine. Conoscerli meglio significa conoscere una tradizione radicata sul territorio e, soprattutto, evitare di confonderli, visto che esiste una coincidenza “geografica”. Eccoli allora, tra identità e caratteristiche.
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Pecorino Romano

Citato da illustri autori romani come Varrone, Plinio il Vecchio, Ippocrate e Columella, già in uso nei palazzi e tra i legionari dell’Urbe (per i quali venne stabilita anche la razione giornaliera come integrazione al pane
e alla zuppa di farro: 27 grammi), il Pecorino Romano merita da subito una precisazione circa la provenienza. Il nome infatti non deve trarre in inganno: la regione di produzione non è solo il Lazio ma ci sono anche la Toscana e la Sardegna. Per spiegare il motivo, bisogna tornare al 1884, anno in cui il sindaco di Roma introdusse il divieto di salagione del formaggio all’interno della città, imposizione che obbligò molti casari romani a spostare la produzione in Sardegna, dov’era forte la tradizione della pastorizia ovina. Significativo è che, se il disciplinare individua come zone di produzione l’isola, il Lazio e la provincia di Grosseto, è proprio a Macomer (Nuoro) che ha sede il Consorzio (che tutela il marchio Dop dal 1996) e proprio dalla Sardegna arriva il 95% della produzione. Gli ingredienti fondamentali per la produzione, prima ancora del latte, sono pecore e casari, cui va il merito di rappresentare e interpretare al meglio un territorio e le sue caratteristiche ambientali e culturali. L’abbinamento storico d’elezione è quello con le fave: per una inedita versione della cacio e pepe, il consiglio è quello di accompagnare la pasta con una crema di fave fresche, regolandola con quale fogliolina di menta. Ghiottissimi anche gli gnocchi alla romana, spolverati con un’abbondante grattugiata ma anche le semplici zuppe di legumi che, cosparse di Pecorino Romano hanno un sapore indimenticabile. Da provare infine, sopra il carpaccio, per una sferzata di sapore.
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Pecorino Sardo

Tutto sardo e orgogliosamente tale è il Pecorino Sardo Dop, la cui storia risale ai tempi della popolazione nuragica. È tuttavia in epoca Romana che la Sardegna diventa un centro privilegiato per la produzione di grano e progressivamente i boschi e l’incolto lasciano spazio all’agricoltura e al pascolo, preannunciando la svolta verso la produzione casearia. Le condizioni climatiche dell’isola, unite ad un ambiente ricco di prati naturali e di vegetazione cespugliosa, hanno rappresentato un habitat ideale per gli ovini e per il loro successivo allevamento. A voler cercare fonti storiche sulle origini del Pecorino Sardo, bisogna tornare alla fine del XVIII secolo e osservare una serie di formaggi - i Bianchi, i Rossi Fini, gli Affumicati, la Fresa e lo Spiatatu – che hanno rappresentato le radici della futura Dop. In particolare, Rosso Fino e Affumicato sono i “padri” del moderno Pecorino Sardo: ottenuti da latte crudo o da latte riscaldato con pietre arroventate, sono via via cambiati, in relazione all’avvento di tecniche di lavorazione più moderne, culminate nelle innovazioni introdotte a partire dagli anni ’60. Queste, unite agli insegnamenti della tradizione, hanno condotto al moderno formaggio a marchio.
È bene specificare che quando si parla di Pecorino Sardo, bisogna distinguere il Pecorino Sardo Maturo da quello Sardo Dolce. Il primo ha forma cilindrica, crosta liscia, consistente, di colore bruno nelle forme più stagionate. La pasta è bianca, tendente al paglierino con il procedere della stagionatura, compatta o con occhiatura rada. La stagionatura non può essere inferiore ai 2 mesi, per un gusto finale che è forte e gradevolmente piccante. Il peso varia dai 3 ai 4 kg. Il Pecorino Sardo Dolce ha forma cilindrica, crosta liscia, sottile e di colore bianco o paglierino tenue. La pasta è bianca, morbida, compatta o con rada occhiatura, dal sapore dolce e aromatico. La stagionatura varia dai 20 ai 60 giorni ed ogni forma pesa circa 2 kg.
La lavorazione vuole che il latte di pecora intero venga fatto coagulare con caglio di vitello a 35-38°C per 35-40 minuti. Una volta ottenuta la cagliata, si procede alla rottura fino a ottenere dei granuli grandi quanto una nocciola per il Sardo Dolce, e quanto un chicco di mais per il Maturo. La pasta viene poi semicotta, stufata e/o pressata, salata a secco o in salamoia e quindi stagionata, con i tempi diversi che abbiamo ricordato.
Il tipo Dolce è consumato come formaggio da tavola, servito a scaglie con verdura fresca, oppure come secondo piatto con uva e pere. Quello maturo è ideale a fine pasto, accompagnato con pane all’olio e pinoli, oppure grattugiato.
A tavola, tra le ricette che lo valorizzano sono soprattutto i primi piatti. E allora ecco i malloreddus alla Campidanese o i culurgionis de patata. Ma vale la pena provare anche un ghiotto antipasto come il pecorino arrosto, che affonda le sue radici nella tradizione pastorale e che un tempo veniva cotta direttamente sul fuoco a legna. Oggi ovviamente si può preparare in casa, cuocendo il formaggio sulla piastra o in forno e accompagnandolo con pane carasau e magari del miele. Antipasto più raffinato e moderno è il flan di pecorino maturo, magari servito sopra una vellutata di zucchine, in modo da trovare un perfetto bilanciamento tra il carattere saporito del formaggio e quello più delicato delle zucchine. Immancabili, tra i piatti unici, la fregola e il pane frattau. Se invece volete dare un’identità marcata ad un piatto dalle reminiscenze francesi, potete provare la zuppa di cipolle con una spolverata di pecorino sardo, finendo il tutto in forno, affinché la superficie acquisti una doratura perfetta.
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di Caterina Vianello

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