Alla lunga lista delle creazioni dei mae- stri dell’alta pasticceria, dobbiamo per forza aggiungere anche gli chef, che in alcuni casi hanno iniziato da tempo a dedicarsi ai grandi lievitati. Nel 2021 abbiamo assistito ad un vero boom del panettone “stellato”: Alajmo si è cimentato con albicocche e caffè, Cannavacciuolo con cioccolato e caffè; i Cerea si sono inventati il Panettone Picolit con albicocche e picolit (un vino friuliano, ndr), Baldessari si è affidato ad ingredienti inconsueti come capperi, gocce di assenzio, cardamomo e ananas. C’è poi il Super Panettone di Cracco con gocce di cioccolato e pralinato al pistacchio, mentre Romito e Uliassi contrariamente ai colleghi, hanno preferito la tradizione. Nei panettoni degli chef i veri protagonisti sono gli ingredienti interni, non tanto la forma o il procedimento; c’è ovviamente una tendenza a creare qualcosa che somiglia al loro nome o al loro lavoro quotidiano. In alcuni casi siamo di fronte a prodotti a cavallo tra la pasticceria e la cucina fine dining. C’è molta sperimentazione soprattutto nella versione salata o “diversamente dolce”, prediligendo un gioco di accostamenti, contrasti e nuovi equilibri di gusto. Per farvi capire meglio cosa intendiamo, siamo andati a cercare una vera chicca della “pasticceria gastronomica”. Si chiama PanVioletta ed è un panettone realizzato con melanzana candita dallo chef calabrese Claudio Villella che, nella sua espressione culinaria ha come unico obiettivo quello di dare voce al territorio, raccontando la sua terra attraverso le proprie eccellenze. Nel caso del PanVioletta, per la prima volta un ortaggio è protagonista del Natale. Stiamo parlando nello specifico della Melanzana Lady Violetta di Longobardi, un piccolo paese in provincia di Cosenza. La base del panettone è classica, l’intento è quello di dar vita a equilibri di gusto nuovi, senza discostarsi troppo dalla tradizione. Allo stesso tempo, come ci spiega lo chef: “è un modo per uscire dagli schemi, andare oltre alla tradizione. Una visione moderna, che rispecchia la
mia cucina, seppur non discostandomi dalla sapienza familiare o dalla tradizione territoriale”. Dietro a questo tipo di prodotto c’è tanta ricerca, c’è molta artigianalità, che parte dalla conservazione dell’ortaggio durante la sua stagione, alla sua lavorazione che non deve fargli perdere di perso-nalità. Dolce e succosa, la Lady Violetta, icona indiscussa della cucina calabrese, si trasforma in un candito da panettone che arricchisce anche visivamente e in quantità i lievitati realizzati dallo chef Villella (lo scorso anno ne ha sfornato solo 100 e anche quest’anno sarà una limited edition). “Dolce, compatta, dal sapore raffinato e delicato, questa melanzana si presta benissimo alla canditura, che ne esalta la dolcezza e la carnosità, senza diventare eccessivamente stucchevole, sapendo anche giocare con toni lievemente acidi dati dagli agrumi”.
E, per chiudere il nostro percorso, non possiamo non ricordare che anche i pizzaioli si sono lasciati tentare da questo “pane nazionale”. E c’è anche chi, seppur celebre per la sua tonda, il panettone lo ha sempre fatto da quando, nel 2008, si è innamorata del lievito madre e del suo potere magico. Parliamo di Amalia Costantini, titolare di Mater a Fiano Romano (Roma) la quale, da autodidatta, ha sempre sperimentato panettone e pani di ogni genere e non solo pizze, con la prerogativa di una lavorazione totalmente artigianale e la scelta di ingredienti solo biologici. “I panettoni li faccio da sempre, ma solo da tre anni mi vengono bene. Oggi sono finalmente arrivata ad avere una mia ricetta: non ne esiste una assoluta, io amo sperimentare. E poi, quando hai a che fare con il lievito madre, c’è un lavoro immenso di gestione delle varie acidità (lattici e acetici), di rinfreschi continui durante l’anno, cosa su cui sono meticolosa, Solo se tutto rispetta certi valori troviamo quella dolcezza o sofficità: non è una questione di dosi o di seguire un procedimento alla lettera. Se devo dire che differenza c’è tra il panet- tone di pasticceria e il mio non saprei dire, anzi mi sento più pasticciera che pizzaiola per molti versi”. Amalia cuoce in un forno da pasticcere e non nel forno delle pizze, fa pochi pezzi solo per pochi fortunati e in ognuno di questi, c’è tanta passione e un carico emotivo importante che accompagna ogni fase - con successo o con insuccesso - di questo lievitato, croce e delizia di chi mette le mani in pasta.