Senza nulla togliere a Panopulos, a onor del vero, c’è che ritiene che la pizza hawaiana sia una variante del toast Hawaii (una fetta di toast aperta con formaggio, prosciutto, ananas e ciliegia maraschino), creato nel 1955 dal cuoco che per primo in Germania si diede agli schermi televisivi: Clemens Wilmenrod.
La pizza con l’ananas (ovviamente dispo- sto a fette – sciroppate – dopo la cottura della pizza) genera dunque da ormai oltre 50 anni ferventi dibattiti: secondo un'indagine di mercato del 1999, la pizza hawaiana era quella più popolare in Australia con oltre il 15% delle ordinazioni e nel 2015 la rivista Just Eat la definisce la più diffusa nei menu. Eppure, nel 2016, negli Stati Uniti viene indicata da un sondaggio come una delle tre farciture meno preferite dai consumatori dopo acciughe e funghi, sebbene allo stesso tempo era anche l'ottavo tipo più diffuso. Non è un caso che da quel momento si sia tornati a parlare di pizza con l’ananas: sarà forse merito delle multinazionali che la producono?
Per concludere, una curiosità. Se non siete dei temerari ma piuttosto dei “chimici provetti”, potete dilettarvi nell’utilizzo dell’ananas nell’impasto, come ci consigliano lo chef Francisco Goya e il gastronomo Nathan Myrhvold in Modernist Bread, l’opera omnia sul pane “made in USA”. I due appassionati autori consigliano infatti di usare dallo 0,1% allo 0,5% (sul totale dell’impasto) di succo di ananas fresco (o lo 0,3% di succo di papaya, ma questa è un’altra storia) perché l’ananas contiene proteasi, ovvero una classe di enzimi che possono denaturare le proteine (tra cui il glutine), facendo aumentare l’entropia, ovvero la quantità di calore scambiato. Cose tecniche, insomma. Ma che ci fanno capire quanto è bello e vario il mondo della pizza. Anche con l’ananas.