La fontina è, quindi, una base tecnica pregiata che rispetta le caratteristiche organolettiche di un formaggio vaccino, a latte intero ed a pasta semicotta. Risulta sapido e ricco di grassi, può essere a media o lunga stagionatura, ha pasta semidura e crosta lavata ma soprattutto è facilmente riconoscibile per i fregi ed il logo in azzurro della Dop.
Vista la varietà di produzioni, in Valle d’Aosta è un ingrediente che possiamo considerare comune - ma con delle unicità - soprattutto nelle versioni d’alpeggio. Proprio la varietà degli alpeggi e la stagione di produzione influiscono su profumi e sapori: le forme prodotte in primavera, quando i pascoli arricchiscono il foraggio con il profumo di fiori ed erbe fresche, hanno profumi e sapori che variano da zona a zona, oltre che per grado di stagionatura. Questo rende la fonduta alla valdostana un piatto che difficilmente sarà monotono, anche se assaggiata più volte.
Nella declinazione valdostana, la realizzazione della fonduta prevede alcune accortezze che la rendono particolarmente gradevole nella consistenza e delicata nel sapore: la fontina va scelta per provenienza e grado di stagionatura preferiti, in modo da decidere in partenza se farne una versione più fresca o più saporita. Fatte queste premesse, per preparare una fonduta rispettosa della tradizione, la fontina deve essere pulita della crosta e tagliata in cubi di media grandezza; dopodiché, andrà immersa nel latte per diverse ore ma, nelle “ricette della nonna”, soprattutto per la fontina più stagionata, si parla di una notte intera in ammollo!
Una curiosità: Nell’inverno del 1950 l’ingegno dello chef Konrad Egli (di origini svizzere), al servizio dello Chalet Suisse Restaurant di New York al quale, ebbe l’idea di fondere – al pari del formaggio – il cioccolato e immergervi all’interno della frutta. Ma questa è un’altra storia.