I NUOVI PROFESSIONISTI DELLA RISTORAZIONE

Per meglio capire in quale direzione vada il mondo della ristorazione desidero ricordare ai nostri lettori due ampi servizi giornalistici apparsi sulle riviste specializzate: il primo all’inizio della pandemia, mentre il secondo
è uscito solo qualche mese fa. Nel primo si raccontava dei favolosi incassi dei ristoranti stellati, con i più importanti che mettevano in banca annualmente cifre sbalorditive. Il servizio giornalistico più recente raccontava invece della crisi che ha colpito i ristoranti più famosi, a cominciare da quelli con tre stelle, alcuni dei quali, sia in Italia che all’estero, hanno dovuto ridimensionarsi o chiudere (come El Bulli di Ferran Adrià e il Noma di René Redzepi) per troppo passivo o per insostenibilità dei costi. Allora è da chiedersi se conviene ancora che un serio professionista della ristorazione insegua disperatamente le stelle o non è forse meglio, come fece Gualtiero Marchesi, impegnarsi a valorizzare al meglio la propria alta professionalità e il proprio locale, cancellando le stelle dal proprio ristorante? Ci sono stati in Francia dei cuochi che per la perdita d’una stella si sono addirittura suicidati e la domanda che molti in quei casi si sono fatti: ne è valsa la pena? Non è certo colpa della Guida Rossa se sono successi suicidi e fallimenti, penso piuttosto che i media – stampa e TV – sulle stelle ci abbiano giocato e continuino a giocarci molto e le abbiano pompate fin quasi a farle scoppiare, mettendo in difficoltà, a volte molto seria, dei bravissimi cuochi, le loro aziende e le loro famiglie. 

VOLTIAMO PAGINA

Credo sia ormai ora che la stampa di settore compia una seria riflessione non tanto sulla professionalità dei cuochi in cucina, ma sugli orpelli e i barocchismi e gli intrallazzi, spesso vergognosi, che ostacolano la regolarità d’un lavoro che può assicurare ampie soddisfazioni professionali ed economiche anche senza stelle, cappelli, bottiglie e cose simili. Esiste, infatti, in Italia una ristorazione eccellente anche senza stemmi, stelle e applausi delle guide, non per nulla la ristorazione italiana è famosa di per sé stessa nel mondo ed è una delle voci più importanti dell’economia del nostro Paese, grazie anche a un turismo gastronomico che è il vero e più serio riconoscimento internazionale del valore intrinseco della cucina italiana. Ed è poi da chiedersi se stelle, cappelli, bottiglie, calici, ecc. siano più utili o più dannosi alla ristorazione italiana nel suo complesso. In verità in passato le guide gastronomiche si limitavano ad elencare i locali, prendendo atto con voti, cappelli o stelle del loro valore, ma oggi sembra che a dettar legge siano in molti casi le guide.
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LE COLONNE DELLA RISTORAZIONE

Come questa rivista ripete da oltre tre decenni, gli elementi che caratterizzano e danno valore alla nostra ristorazione sono: l’ottima materia prima, l’alta capacità operativa del personale, la professionalità del servizio. L’Italia ha, lungo lo stivale e nelle sue isole, gli orti fra i migliori al mondo, in assoluto. E li ha perché la posizione geografica e climatica è molto favorevole e consente di poter produrre una grandissima varietà di ortaggi in ogni stagione, oltre alle erbe spontanee di campo sia in pianura che in montagna, alla gran varietà di funghi e alla presenza di tartufi, anche questi spontanei che danno un tocco in più a numerosi nostri piatti. Se poi pensiamo agli straordinari prodotti orticoli del nostro Sud, all’assoluta eccellenza del nostro olio extravergine d’oliva, alla ricchezza dei nostri salumi e formaggi, alla varietà e bontà dei nostri vini, ci rendiamo immediatamente conto che la cucina italiana ha la fortuna di avere una varietà e qualità di materia prima che non esiste altrove.
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Gli uomini e le donne di cucina

Poi ci sono gli “uomini e le donne di cucina”, il personale che lavora per preparare la materia prima, assemblarla, trasformarla con gli strumenti e le tecnologie oggi possibili, in preparazioni gastronomiche e in questo settore c’è una tradizione che inizia nella Roma dei Cesari e giunge fino a noi in una continuità bimillenaria che non esiste in nessun’altra parte del mondo, eccezion fatta per la Cina che ha anch’essa una cultura e delle splendide modalità operative, immutate da secoli se non da millenni. L’Italia, lo sappiamo bene, ha una tradizione di professionisti straordinari, fin dai tempi in cui le cucine dei patrizi dell’antica Roma erano laboratori di alta ristorazione, con prodotti che arrivavano dalle campagne d’attorno ma anche da molto lontano, trasformati in piatti raccontati da numerosi autori del tempo, ancor oggi letti e studiati.
Sarebbe poi facile ripercorrere la storia delle cucine dei castelli medioevali; dei palazzi dei signori del Rinascimento; della ricca borghesia mercantile dei secoli successivi per arrivare ai giorni nostri, scoprendo una ininterrotta continuità professionale che è un patrimonio storico e culturale che solo l’Italia possiede. Come dire che la Scuola di cucina italiana ha una ricchezza di contenuti, di tecniche operative e di regole ben precise che hanno permesso e permettono ancor oggi a tanti nostri cuochi di essere famosi nel mondo ed ospitare alle proprie tavole gourmet e personalità di ogni continente.
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I professionisti del servizio

Il terzo elemento è la professionalità del servizio. Tema molto delicato. Si parla e si scrive troppo poco di chi fa da mediatore tra la cucina e i commensali e questo è un male. Per “mediatori” intendo direttori di sala, maître, sommelier, camerieri, ma anche receptionist, guardarobieri, personale di pulizia, ecc. Se nei piccoli ristoranti il cameriere è “tutto” in sala, cioè riceve le comande, porta i piatti, serve i vini, sbarazza i tavoli, pulisce e riprepara i tavoli controllando le stoviglie, ecc. nei locali più prestigiosi ogni persona che lavora in sala ha il suo ruolo e deve svolgerlo in modo ineccepibile. E non è scritto in nessuna parte che chi entra in sala come cameriere debba andare in pensione come cameriere. E quando succede è un insulto al lavoro del personale. Non è questo il momento per una seria, ampia e severa riflessione sul personale di sala e sulla sua possibilità di “fare carriera”. Lo vedremo in altro momento, trattandosi di un problema sul quale troppi ristoranti, specie quelli turistici, non danno l’importanza che merita, specie in un periodo nel quale molti giovani, anche quelli usciti dalle Scuole alberghiere, hanno poco desiderio di avvicinarsi a queste professioni.
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PROBLEMI APERTI

l primo e più importante problema riguarda la riforma delle scuole professionali. Già in diversi Istituti Alberghieri di Stato e in tante Scuole Alberghiere (CFP) ci sono lezioni teorico- pratiche dedicate alla pizza. Per far appassionare gli studenti degli Istituti e delle Scuole Alberghiere non basta sapere ciò che si insegna, ci vuole passione, amore per la professione e la visione della complessa realtà di questo mondo del lavoro da far conoscere fin da subito ai ragazzi e alle ragazze che si iscrivono a queste scuole. E tutto ciò riguarda anche chi si prepara a diventare pizzaiolo. E, per questi ultimi serve di più, molto di più, visto che la pizza è oggi il piatto italiano in assoluto più diffuso nel mondo. Poi c’è il problema dell’apprendistato e dei contratti di lavoro, specie quelli stagionali, i più elusi, per la qualità dei compensi e, spesso, per l’esorbitante cumulo di ore di lavoro. E aggiungo che in molti casi c’è poca attenzione delle amministrazioni locali per queste attività che vanno sostenute e non penalizzate con divieti e balzelli di vario tipo. E serve, prima d’ogni altra cosa, una seria riflessione sul perché i giovani siano restii a dedicarsi al lavoro nei ristoranti e nelle pizzerie. E, con questo, si ritorna al problema delle scuole rimaste abbastanza ferme, non bastando più insegnare a far bene da mangiare e a servire bene a tavola, questa è solo una parte dell’insegnamento, come abbiamo qui sopra accennato e come vedremo prossimamente. Poi servirebbe una scuola per i titolari di ristoranti e pizzerie. Ancora troppi imprenditori non sanno trattare con umanità i propri dipendenti, anche se ce ne sono di bravissimi che dovrebbero essere invitati dalle Associazioni di categoria a parlare ai colleghi insegnando come non perdere i dipendenti. Su questi tempi c’è molto altro da dire se vogliamo veder crescere la ristorazione italiana per renderla capace di conservare in futuro – visto anche l’esplosione di diverse altre cucine in ogni continente – l’eccellenza qualitativa e il prestigio conquistato in duemila anni di storia.
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di Giampiero Rorato

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