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Salvatore Santucci e l’arte della pizza

Salvatore Santucci, conosciuto maestro pizzaiolo e “portatore sano” della pizza di tradizione napoletana, che da oltre 30 anni produce pizze buone, sane e belle, si racconta e risponde alle domande poste da questa Rivista, così da veicolare il pensiero e la tecnica di uno dei più riconosciuti volti della pizza.  Salvatore Santucci sin dalla tenera età di 9 anni si interessa alla pizza, innamorandosi dell’arte del fare la pizza, della stesura – o meglio l”ammaccare” (da cui prende il nome la sua pizzeria Ndr).
E da quel momento non abbandona più la pizza, lavorando dopo scuola, frequentando in età più adulta l’istituto alberghiero, aprendo in seguito la prima pizzeria all’età di 18 anni. Più di recente, assieme al socio ed amico avvocato Nicola Taglialatela crea il format Ammaccàmm, a Pozzuoli, a pochi chilometri dalla costa di Napoli.
Salvatore Santucci ha come mission la creazione di nuovi impasti, dai sapori decisi ma con un particolare interesse per i valori nutrizionali e salutistici, attingendo dalle conoscenze apprese durante gli studi alberghieri.  Tutti i nuovi impasti vengono creati all’interno dell’“officina degli impasti” ad Ammaccàm, così come i diversi blend di farine, che mette a punto lui stesso con esperti del settore. Oltre a tutto questo lavoro su campo, Salvatore Santucci è istruttore senior dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, docente per Gambero Rosso e presso la prestigiosa Università Federico II di Napoli, dove tiene corsi dedicati sulle lievitazioni e fermentazioni per l’alta digeribilità.

“La pizza napoletana è sempre stata la pizza tradizionale per eccellenza nell’immaginario dei clienti di tutto il mondo. Da un paio d’anni invece assistiamo a una rivisitazione nel modo di farla e nell’abbinarvi gli ingredienti, utilizzando tecniche d’impasto nuove e nuovi abbinamenti. Lei come si pone? E’ più tradizionalista o ama sperimentare? Se si, come? Nell’impasto? Nella scelta delle farine? Negli abbinamenti delle materie prime?”

Il mio motto è “l’arte di vestire la tradizione”: penso che l’innovazione non sia altro che l’evoluzione della tradizione stessa, ad esempio ingredienti che esistono da sempre ma di cui non si era fatto quell’utilizzo. Sono un integralista sulla tradizione della pizza Napoletana, proprio per questo nel menù della mia pizzeria ho un filone dedicato solo alla tradizione, però pongo particolare attenzione all’innovazione o meglio, a ciò che ritengo alternativo. Nel mio ristorante “Ammaccam” propongo 12 impasti diversi ogni giorno, che ho creato con una miscela con farina di tipo 00 e tipo 1 macinata a pietra. Mi piace che ci siano dei valori nutrizionali, ed è proprio per questo che ho introdotto nella mia Triticuma (la miscela di farine che ho brevettato), una parte cruscale e il germe di grano, che presentano grandi valori di fibre, sali minerali e potassio.

Con quale criterio sceglie i suoi fornitori?

I miei fornitori innanzitutto devono essere miei amici, dei professionisti del settore ed avere una grande cultura culinaria.

Quali sono secondo lei le caratteristiche – al di là della conoscenza e dell’applicazione del disciplinare della pizza STG – per poter definire una pizza napoletana? (l’ambiente, il calore, l’ospitalità, il servizio…)

L’ambiente e le condizioni climatiche contano molto, il pizzaiolo mette a disposizione le sue conoscenze e l’esperienza, ma se l’arte del pizzaiuolo è patrimonio immateriale dell’umanità lo è anche per ragioni focloristiche, per il gergo tipico dei pizzaiuoli di una volta e infine anche per la tradizione partenopea condivisa da tutti.

Ci sono secondo lei dei limiti oltre i quali una pizza non può dirsi napoletana? Sia in termini di preparazione che di materie prime che di resa finale?

Per pizza napoletana si intende una pizza preparata secondo i rigidi procedimenti, canoni, dogmi, legati ad un disciplinare, come STG. Farine non troppo forti, ore minime e massime di lievitazione, che non deve essere eccessivamente prolungata, senza aggiunta nell’impasto così detto di olii e grassi sia vegetali che animali. Semplicemente impastando 4 ingredienti: acqua, farina, sale e lievito con l’aggiunta di tanta passione. Categoricamente per l’impasto napoletano bisogna partire dal liquido e la conservazione dello stesso non consente l’utilizzo della tecnica del freddo ma solo temperatura ambiente, lievito di birra e lievito madre. Per la cottura si deve avere un forno che raggiunga 480° perché la pizza napoletana cuoce per calore e non per fiamma.

Chi, secondo lei tra i pizzaioli delle ultime generazioni rappresenta al meglio il presente ed il futuro di questa pizza?

Semplicemente…io, con stima e amicizia verso tutti i miei colleghi.

PIZZA E RICETTA DELLA TRADIZIONE

Impasto Triticuma
Farina 00, tipo 1 macinata a pietra
Lievitazione 30/ h LdB e LM TA
Panetto da 280 grammi

Farcitura
Pomodoro antichi pomodori San Marzano
Bufala dop campana
Origano di Pantelleria
Olio evo denocciolato pugliese
Basilico fresco
Formaggio
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La Redazione

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