A proposito di grani

Il nostro è un mondo che vive felicemente con le “mani in pasta”: un mestiere bellissimo che si nutre letteralmente dei frutti della terra. Per conoscere un po’ più da vicino la materia prima che viene coltivata e che finisce nelle nostre tavole abbiamo incontrato la Senior Agronomist di Azienda Stuard dott.ssa Cristina Piazza e la dottoressa Mia Marchini. 
 
L’Azienda Agraria Sperimentale Stuard s.c.r.l. (www.stuard.it) svolge le proprie attività a San Pancrazio (in provincia di Parma) su 20 ettari, per la maggior parte coltivati in regime di agricoltura biologica. Produce e preserva oltre 100 varietà di cereali antichi e altrettante di pomodori antichi, peperoncino, zucche, conducendo anche una piccola attività di allevamento e riproduzione di avicoli autoctoni allestita grazie ai progetti di recupero della biodiversità locale. Trae le sue origini da un lascito di Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone e duchessa di Parma e Piacenza, che destinò un fondo omonimo ad attività di miglioramento delle conoscenze e della divulgazione in agricoltura. L’azienda sperimentale è operante dal 1983 e, grazie ai suoi agronomi coordinati dal direttore Roberto Reggiani, sviluppa progetti di ricerca e sperimentazione nel settore agricolo, agroindustriale e agroambientale in ambito pubblico e privato regionale, nazionale e comunitario. Una parte importante dell’attività è rivolta alla didattica sia nei confronti delle scuole, da quelle dell’infanzia all’Università, sia verso gli adulti. 

Iniziamo dalle basi. Quali sono i cereali autunno-vernini?

I cereali autunno-vernini sono piante erbacee annuali appartenenti alla famiglia delle Graminacee (o Poacee) i cui frutti/seme (cariossidi, volgarmente “chicchi”) sono riuniti in spighe e sono caratterizzati da un ciclo fenologico che inizia in autunno e si conclude nell’estate dell’anno successivo poiché, per fruttificare, la pianta necessita di un periodo variabile di basse temperature. In pianura padana la semina viene fatta di solito dalla metà di ottobre a metà novembre. Dove gli inverni sono più rigidi o per varietà a minor esigenze di freddo, la semina può essere fatta anche a gennaio-febbraio. I cereali vernini più coltivati in Italia sono frumento tenero e duro e orzo; meno diffusi sono farro dicocco, farro spelta e monococco; segale, avena, frumento turgido e frumento turanico o Khorasan. Il farro monococco è probabilmente il primo cereale coltivato dall’uomo (circa 12.000 anni fa), seguito dall’orzo (coltivato da greci ed etruschi) e poi da dicocco (il frumento degli antichi romani) e spelta. Il frumento tenero e duro, attualmente i cereali autunno vernini più utilizzati per l’alimentazione umana, sono di introduzione molto più recente. I farri e l’orzo sono caratterizzati dall’avere la cariosside “vestita”, cioè che alla raccolta si presenta ancora ricoperta dalle glume, sorta di piccole scaglie poste a protezione del fiore. Per poter essere consumati dall’uomo, le glume devono essere eliminate perché indigeribili. Per eliminarle attualmente viene impiegato un processo meccanico di abrasione che si chiama decorticatura. Il frumento tenero e duro, turanico e turgido sono invece caratterizzati dall’avere una cariosside “nuda”, che perde facilmente le glume al momento della raccolta. Tutti i cereali autunno-vernini sono caratterizzati dalla capacità di emettere steli secondari che partono dalla base del fusto principale, il cosiddetto “accestimento”. 
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Tra questi, quali coltivate nella vostra realtà sperimentale e perché?

In azienda, vengono coltivati in biologico per lo più frumento tenero e duro di varietà “storiche” quali i teneri Autonomia B, Terminillo e Gentilrosso e il duro Senatore Cappelli, antecedenti la seconda guerra mondiale, che vengono trasformate in farina e semola, rispettivamente. A loro volta farina e semola sono in parte vendute tal quale e in parte trasformate in pane e pasta. Questi frumenti teneri, un tempo molto diffusi nei nostri areali, sono stati selezionati dal nostro campo catalogo nel corso di approfondite sperimentazioni, in cui erano previste anche valutazioni sui prodotti trasformati oltre a quelle di tipo agronomico, perché il pane fatto con queste farine è risultato il “più buono” in diversi panel test. Anche il duro Senatore Cappelli è coltivato in azienda da circa una ventina di anni, anche se la coltivazione del grano duro fino a qualche decennio fa era diffusa per lo più nelle regioni meridionali: in quegli anni la coltivazione di questa varietà era quasi scomparsa, nonostante le sue caratteristiche più che discrete dal punto di vista qualitativo, e lo abbiamo voluto preservare. Un’importante attività aziendale è il recupero delle vecchie varietà cerealicole, molte delle quali venivano coltivate a Parma e nell’areale emiliano-romagnolo. Il campo catalogo di vecchie varietà cerealicole nasce nel 1994 e attualmente comprende 58 varietà di frumento tenero, 8 di duro, 6 di orzo da caffè (Triticum aestivum L.; Triticum turgidum var. durum Desf.; Hordeum vulgare L.), una decina di farri, altre specie appartenenti al genere Triticum e alcune popolazioni di frumento tenero.
 
Molte delle varietà della collezione, come ad esempio il Mentana e il Cappelli, sono state selezionate dal genetista Nazareno Strampelli e sono state alla base del raggiungimento dell'autosufficienza cerealicola del nostro Paese prima della seconda guerra mondiale. Le vecchie varietà, sempre coltivate in biologico, sono state oggetto di sperimentazione con prove per valutarne la produttività, la sensibilità alle malattie e il contenuto di micotossine, progetti in collaborazione con l'Università degli Studi di Parma. In collaborazione con l'Università di Bologna sono stati inoltre effettuati alcuni interessanti test per tentare di definire meglio l'eventuale capacità anti-infiammatoria della loro granella rispetto alle varietà più moderne. Tutte queste varietà si adattano molto bene al biologico perché, essendo molto alte non permettono lo sviluppo delle infestanti e non devono essere concimate perché se no si allettano. In generale tutte le varietà antiche/storiche in ambienti fertili producono molto meno delle varietà moderne, mentre in ambienti poco fertili come le zone montane o in cui si utilizzano meno input (concimi, diserbi, antiparassitari) hanno delle rese analoghe alle varietà più nuove. 

Queste colture che caratteristiche hanno?

Pisello e favino sono leguminose, che hanno la capacità di utilizzare l’azoto atmosferico per sintetizzare le sostanze azotate indispensabili allo sviluppo di tutte le piante, attraverso complessi meccanismi di simbiosi con i batteri Rizobi del terreno. 
La produzione di composti azotati eccedente le loro esigenze rimane nel terreno a disposizione delle colture successive: i cereali sono tra le specie che se ne avvantaggiano di più. A loro volta, grazie alle loro radici molto ramificate e fini, che sminuzzano naturalmente il terreno e al fatto che di solito non permettono lo sviluppo di molte infestanti primaverili/estive, sono la precessione ideale per le orticole che invece sono coltivate soprattutto in queste epoche. 

Cosa si intende per produzione integrata e per produzione biologica?

L’agricoltura biologica (normata a livello europeo) promuove una produzione agricola rispettosa dell’equilibrio ambientale e della biodiversità e vieta l’uso di OGM, delle radiazioni ionizzanti, degli erbicidi, dei fertilizzanti e degli antiparassitari di sintesi; vieta altresì l’uso degli ormoni e limita l’uso degli antibiotici nell’allevamento animale. Questo significa che i produttori biologici devono adottare approcci diversi, sempre preventivi, per mantenere la fertilità del suolo e la salute degli animali e delle piante. Infatti, per il settore vegetale, la tecnica si basa sulla rotazione colturale, sull’uso di leguminose e sovesci per la fertilizzazione, sulla scelta di varietà resistenti alle malattie e competitive nei confronti delle specie infestanti e su tutti gli interventi di tipo agronomico volti ad ottenere questi risultati (epoche di impianto, modelli previsionali, lotta biologica, confusione sessuale, cattura massale). L’impiego di prodotti antiparassitari, di origine naturale ed inseriti in un apposito elenco, è subordinato all’effettiva necessità e alla mancanza di possibilità di intervenire altrimenti. La produzione integrata è un sistema di produzione volto a ridurre al minimo l’uso delle sostanze chimiche di sintesi (prodotti fitosanitari, fertilizzanti e diserbanti), ma anche il consumo dell’acqua e dell’energia, senza compromettere la qualità del prodotto e nel rispetto dell’ambiente e della salute dell'uomo. Le aziende che vi aderiscono devono rispettare i Disciplinari di Produzione Integrata (DPI), un insieme di norme tecniche e di metodologie operative (analisi del terreno, modelli previsionali per insetti e malattie) applicate in sinergia, per razionalizzare e ridurre l’impiego di input in agricoltura siano essi acqua, lavorazioni, fertilizzanti, antipa-rassitari o erbicidi. In particolare vengono escluse dai DPI le sostanze chimiche a più lunga persistenza nell’ambiente. Nell’integrata, quindi, si fa uso di molti dei mezzi tecnici legalmente disponibili, ma con l’accortezza di limitare opportunamente le tipologie, gli interventi e le dosi. 

Integrata significa convenzionale?

Ovviamente no: in agricoltura convenzionale si possono applicare tutte le tecniche agronomiche disponibili e impiegare tutti i mezzi tecnici legalmente autorizzati, purché vengano rispettate le modalità e le dosi da etichetta dei prodotti impiegati e il raccolto non mostri residui di sostanze chimiche al di fuori o al di sopra di quelli previsti per legge. È un tipo di agricoltura che attualmente in Italia sta diventando meno frequente sia per ragioni economiche e produttive sia per una maggior consapevolezza ambientale da parte degli agricoltori. 

Voi su quali semi vi siete concentrati e per quali motivi?

Si è recentemente concluso il progetto QualitàInBio finanziato dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 dell’Emilia Romagna. Il progetto si è proposto da un lato di migliorare la qualità tecnologica delle produzioni biologiche di frumento tenero e duro coltivate in pianura per andare incontro alle esigenze della seconda trasformazione favorendo un progressivo spostamento delle produzioni convenzionali verso quelle biologiche e di ampliamento degli areali di coltivazione dei cereali a paglia biologici dalla montagna/collina alla pianura; su un altro fronte, si è voluto valorizzare la biodiversità cerealicola (farri, varietà storiche e moderne) individuando argomentazioni di vendita efficaci legate agli aspetti nutrizionali e salutistici. A questo scopo il progetto ha individuato le tecniche agronomiche (precessione, strategie di difesa verso i fitopatogeni più comuni, controllo delle piante infestanti) e le varietà da impiegare in terreni di pianura coltivati in biologico, per ottenere i livelli di qualità tecnologica oggi raggiunti dai frumenti convenzionali. Il progetto inoltre ha permesso di misurare il contenuto in polifenoli e flavonoidi, il potenziale antiossidante e valutare in vitro gli effetti sulla mucosa intestinale di estratti fenolici di alcune varietà storiche di frumento, per un loro impiego in prodotti con aumentato valore nutrizionale/salutistico. 
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Quali tra questi grani sono adatti alla panificazione? E per quali motivi?

I frumenti teneri si distinguono in 4 categorie, biscottiero, panificabile, panificabile superiore e di forza, in funzione di alcuni parametri che li caratterizzano e che sono il livello di proteine, il peso ettolitrico, l’indice P/L alveografico, ma soprattutto il valore di W alveografico, che indica la capacità della farina di resistere a lunghe lievitazioni. Queste caratteristiche genetiche vengono mantenute o meno a seconda della varietà e, in biologico, della precessione colturale. Mediamente le varietà coltivate durante il progetto QualitàInBio hanno registrato valori di W inferiori ai valori attesi, per cui i frumenti di forza si classificano invece come panificabili superiori o panificabili. I valori di P/L registrati sono invece tendenzialmente equilibrati. Le caratteristiche tecnologiche e le rese sono state migliori nel caso del pisello proteico in precessione rispetto a soia o pomodoro. 

Perché i cereali storici si sono un po’ persi negli anni ed ora vengono riscoperti/ valorizzati?

Dopo la caduta dell’impero romano e fino alla metà del XVIII secolo, vi fu una vera e propria perdita di competenze nel campo delle tecniche agronomiche di coltivazione che, unita alle frequenti guerre, ha impedito per molto tempo una produzione alimentare sufficiente al sostentamento della popolazione. Prima della scoperta del Nuovo mondo e dell’introduzione del mais, si diffusero i cereali autunno vernini meno esigenti in termini di fertilità e di tecnica. Dalla fine dell’800-primi del 900 è iniziato un intenso lavoro di miglioramento delle varietà locali che ne ha raddoppiato la resa nell’arco di pochi anni (varietà storiche), ma senza alterarne molto la tecnica colturale. Solo dalla fine della II guerra mondiale ha preso piede quella che viene comunemente chiamata agricoltura “moderna” e intensiva: il seme delle varietà impiegate deve essere omogeneo e prodotto in quantità e quindi la sua produzione non poteva restare di competenza del singolo agricoltore. Queste varietà hanno altezza ridotta, maggiore risposta a prodotti chimici, maggiore resistenza a malattie, minore allettamento, elevate qualità tecnologiche panificatore e pastificatorie idonee alla trasformazione industriale. Negli ultimi anni però, si è assistito ad una progressiva riscoperta delle varietà storiche e antiche sia per un crescente interesse dei consumatori verso prodotti alimentari tradizionali, uno stile di vita sano, il biologico e l’attenzione all’ambiente sia perché, come si è detto, queste varietà si adattano bene alle tecniche del bio e permettono agli agricoltori biologici di valorizzare direttamente o in piccole filiere la propria produzione. 

Questo tipo di cereali ha un valore aggiunto dal punto di vista organolettico, nutrizionale, della trasformazione da parte del professionista? Richiedono trattamenti (dalla coltivazione in giù) diversi?

Essendo comunemente coltivati in biologico, i grani antichi sono percepiti come più naturali, con benefici sulla salute e caratteristiche dietetiche migliori rispetto al grano moderno. Alcuni consumatori riconoscono di avere minori problemi digestivi dopo l’assunzione di grani antichi e questo viene attributo ad un glutine più digeribile. Inoltre, le varietà storiche o antiche di frumento hanno generalmente un maggiore contenuto in proteine, vitamine (prevalentemente del gruppo B), minerali come fosforo, potassio, zinco, selenio, carotenoidi. Per quanto riguarda eventuali effetti salutistici diretti, gli studi effettuati riguardano ancora un numero di casi troppo limitato per dare risposte certe. Dal punto di vista tecnologico, i farri e i frumenti antichi presentano normalmente un buon contenuto in proteine, tuttavia i parametri classici di qualità tecnologica (valori di W, P/L e glutine) non farebbero prevedere un loro utilizzo nella panificazione. Per un loro utilizzo da parte dell’industria, per cui il raggiungimento degli standard qualitativi è imprescindibile per garantire la qualità del prodotto finito data la maggiore rigidità di processo, è possibile prevedere l’impiego di miscele con farine di grani moderni appositamente studiate per soddisfare gli obiettivi tecnologici. Al contrario, l’utilizzo di metodologie (più flessibili) del panificatore artigianale come la biga, la pasta madre, la lunga fermentazione, consente di ottenere prodotti di buona qualità dal punto di vista tecnologico e sensoriale nel rispetto delle tradizioni locali anche con farina 100% da frumenti antichi. Soprattutto per il pane, a parità di lavorazione e di risultato visivo, l’uso di farine di varietà diverse origina prodotti di sapore differente. 
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di David Mandolin

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