Maurizio, raccontami la storia della vostra famiglia dall’Ottocento a oggi.
Con mio figlio Claudio siamo alla sesta generazione. La storia è iniziata con il padre del mio bisnonno che non era proprio un pizzaiolo ma si cimentava nel preparare la pizza. Lui faceva il “pizzicagnolo” che, all’epoca – fine Ottocento – vendeva salumi e pezzi di pizza. La nostra famiglia, originariamente Dello Buono, poi divenuta Del Buono a causa di un’errata trascrizione all’anagrafe, è legata a quel Generoso Dello Buono che dichiarò Umberto Dello Buono figlio suo e di una Mattozzi, nome che a Napoli è fortemente legato all’imprenditoria legata alla pizzeria e alla ristorazione tradizionale.
Nel Novecento nacque Generoso, figlio di Umberto, anche lui dichiarato con la testimonianza di un Mattozzi. È proprio con loro che nasce la mia storia, nel 1903, quando il mio bisnonno mise mio nonno a lavorare presso di loro nella pizzeria Mattozzi di Piazza Carità (ancora oggi attiva ma di proprietà della altrettanto celebre famiglia Surace, ndr). Poi mio nonno si trasferì a Secondigliano e da quel momento siamo qui.
Ricordi la prima pizza che hai preparato?
Era nel ‘76, in un giorno di apertura della pizzeria. Venne un pittore che, parlando con mio padre, chiese una pizza “abbondante di sale” e io ero solito metterne sempre di più. Il problema è che non sapevo che, con questa espressione, si intendesse in gergo “abbondante formaggio”, così feci una pizza immangiabile. Di fronte alla pizzeria c’era una caserma e gli alunni facevano richieste assurde: a quei tempi preparavo solo Margherita, Marinara, cose semplici. Loro volevano la pizza con la panna, che tra l’altro nemmeno esisteva. Al suo posto c’era un liquido che portavano da fuori, stava nel cartone come quello del latte e si coagulava nel forno. Oppure chiedevano la pizza con l’aceto, la barbabietola o il Gorgonzola: all’epoca a noi Napoletani veniva da dire “e comme puzza”, ma lo usavamo lo stesso.
Quindi si può dire che già in quegli anni facevamo “pizza gourmet”. Mio padre mi aprì una pizzeria a Masseria Cardone, un quartiere di Secondigliano, quando avevo solo 14 anni. Non è che mi piacesse lavorare, però mi piaceva fare la pizza e poi - parliamoci chiaro - vedevo il guadagno e allora mi conveniva. Noi siamo stati anche i primi a chiudere di domenica a dispetto di quanto qualcuno sostiene. Mio padre decise di chiudere il 23 novembre a seguito del terremoto dell’80. Oggi siamo aperti perché i miei figli preferiscono così ma io resto comunque di festa, per abitudine. Dopo aver chiuso la mia pizzeria nel rione, mi trasferii in quella di mio padre a 22 anni, quando mi sono anche sposato.
Secondigliano è un quartiere napoletano non proprio “facile”, per così dire e voi siete li da una vita ormai: avete mai pensato di spostarvi?
Secondigliano potrebbe essere difficilissimo per chi non lo vive e chi lo vede dall’esterno ma in questo luogo, oltre alla mia famiglia, ci sono tantissimi bravi commercianti. A fianco a me c’è un arrotino dal 1883, vengono persone da tutta Napoli e provincia. Io non ho mai pensato di spostarmi, queste sono le mie origini. La maggior parte delle persone viene da me a mangiare la pizza da fuori Secondigliano. Spero che anche i miei figli scelgano di restare; ben venga che aprano anche altrove, certo. Io comunque resto qua. Ho iniziato a 13 anni, ora ne ho 62. A Secondigliano ho un ottimo rapporto con tutti, non appartengo chissà “a chi” o “a cosa”, sono semplicemente Maurizio il pizzaiolo, come mio padre. Ad un certo punto Pino deve sfornare il pane, me lo fa vedere: c’è un bell’albero di Natale disegnato sopra e se ne sente il profumo anche dalla videocamera. Oltre a quello, mi mostra le sue chips di pane che serve al posto dei grissini e aromatizza con olio all’aglio e a limone: a quanto pare, c’è gente che va da lui solo per quelle. Da quel che ho potuto vedere, credo che ci andrò anche io.