Carta dei vini in pizzeria: a che punto siamo?

Se la pizza cambia e diventa sempre più moderna ed elaborata, cambia anche l’abbinamento al calice e il binomio “pizza & vino” trova sempre più conferma tra domanda e offerta.
 
Fino a qualche anno fa, mettere insieme le parole pizza e vino per molti clienti - ma anche pizzaioli - era una bestemmia gastronomica, mentre il sacro binomio pizza-birra, oramai vero e proprio stereotipo, era quasi intoccabile (e forse per alcuni rimane tutt’ora tale). Oggi per fortuna non si avverte più quella reticenza, anzi c’è molta curiosità e disponibilità da parte dei clienti a farsi guidare al pairing. Oggi la pizza si è emancipata e sceglie il vino.
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Da alcuni anni si parla sempre più di pizza accompagnata dal vino, soprattutto da quando la “tonda” ha trovato nuove espressioni: oltre ad una consapevolezza più forte per quanto riguarda gli impasti, sul disco trovano posto nuovi ingredienti, tutti di alta qualità, che ripropongono le ricette della cucina italiana - da quella regionale e tipica a quella ricercata e creativa - tanto da costruire intorno al consumo della pizza un’esperienza di gusto, prima forse impensabile. Il disco di pasta negli ultimi anni è stato protagonista di una grande sperimentazione che, tra critiche e sostegno, ha avuto l’abilità di trasformare la pizza da elemento di tradizione in un vero piatto da ristorazione fine dining. E di ciò se ne sono accorti sia alcuni sommelier ed esperti che si divertono a sperimentare i fantasiosi topping con le diverse etichette e sia alcuni pizzaioli, che strutturano carte dei vini sempre più interessanti, con un occhio attento al territorio.
 
E di fronte a questo cambiamento strutturale e di visione della pizza e delle pizzerie come luogo di consumo è cosciente anche l’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN) che, nella sua fedeltà alla tradizione napoletana, sottolinea l’esigenza di un’apertura del mondo pizza verso un servizio completo, più ampio e di qualità soprattutto, e dove anche il binomio “pizza e vino” è sempre più necessario. Lo rimarca lo stesso presidente Antonio Pace: “La costante evoluzione delle pizzerie passa anche attraverso un elemento fondamentale come l’abbinamento. La pizzeria del futuro dovrà necessariamente assomigliare sempre di più ad un ristorante specializzato e proporre una carta dei vini in grado di soddisfare una clientela sempre più esigente”. Ed ecco perché AVPN, insieme ad AIS Campania, ha dato vita ad un progetto e ad un manuale capace di fornire informazioni, consigli, istruzioni su come creare il giusto wine-pairing, utile specialmente alle piccole pizzerie per costruire la propria carta dei vini con consapevolezza, uscendo dalla logica del vino della casa o di dubbia qualità e in grado di offrire al cliente un’esperienza quanto più piacevole possibile.
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Il riscontro è stato più che positivo e partecipato come ci racconta lo stesso presidente AIS Campania Tommaso Luongo: “L’idea che alimenta questa progettualità - che ci auguriamo diventi presto di respiro nazionale – è di natura tutta culturale e ha in sé anche un grande potenziale economico per il mercato del vino e per il territorio stesso. Abbiamo cercato di toccare le corde emotive della territorialità e della tradizione, partendo da criteri generali che sono validi per tutte le liste dei vini e non solo per quelle delle pizzerie. Ovviamente si parte dal food per poi costruire una carta guardando anche il contorno, ovvero il target, le economie di investimento, lo stoccaggio dei vini, la formazione del personale, la tipologia di locale: tutti punti da non sottovalutare per la riuscita di una carta, che trova il suo essere “ideale e perfetta” nel momento in cui assolve alla sua funzione. Di sicuro, la gradualità è sempre una buona strategia per partire, magari lavorando su denominazioni trasversali che possono essere dei passpartout”.
 
“Secondo il manuale proposto – continua Luongo – la carta dei vini poggia su una divisione del menù delle pizze in macrocategorie. Si parte banalmente dalla base bianca e base rossa, per poi dividere tra pizze classiche, fritte, fino ad arrivare a quelle dolci, passando per le pizze dell'Orto, del Mare, del Bosco, del Casaro, del Salumaio, del Cuoco e del Macellaio.  Per ognuna di esse, esiste un abbinamento che inizia dal territorio, ma che lancia lo sguardo anche oltre confine”. Nello specifico: “la distinzione basica - tra una pizza a base bianca e una a base rossa - funziona sempre e già solo applicando il concetto di concordanza cromatica abbiamo assolto ad un primo step per capire che tipologia di vino abbinare. La prima (ma anche quella fritta) predilige spumanti o vini bianchi sapidi e freschi capaci di ripulire il palato, mentre la seconda - per contrastare l’acidità del pomodoro - vuole dei rossi freschi e giovani, mai molto tannici o dei rosati profumati o, ancora, se vogliamo esagerare, dei bianchi più strutturati. Altro punto fermo da cui partire per non sbagliare è il territorio, imprescindibile a mio avviso ma non esclusivo e limitante”.
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Ma la finalità dell’abbinamento rimane sempre il fattore emozionale e quindi è importante ragionare su cosa c’è sopra la pizza per scegliere il vino secondo una logica di abbinamenti funzionali al gusto, di territorio, di tradizione ma anche una logica sperimentale per creare scenari nuovi, andando oltre il consueto abbinamento per contrasto o concordanza come tanti libri insegnano ma puntando al principio di valorizzazione e di enfatizzazione.
 
Se la pizza è come un contenitore che accoglie e dialoga con i prodotti del territorio, in questo abbraccio di gusto il vino rientra a pieno titolo. E, come sottolinea Tommaso Luongo: “La somma, o meglio dire la fusione, della pizza con il vino deve dare come risultante una gratificazione sensoriale, facendo leva sull’esperienza. Inoltre siamo di fronte ad un’operazione culturale perché sia la pizza che il vino sono portavoce del territorio e in una visione più generale ambasciatori della cultura italiana, non solo a casa ma anche all’estero”.
 
Forse ad oggi sono ancora pochi i casi di pizzerie con una carta dei vini strutturata su abbinamenti con padellini, tonde e tranci di vario tipo. E, in questo caso, ci troviamo di fronte a pizzaioli o sommelier illuminati, che interpretano la pizzeria secondo una visione moderna sempre più vicina alla ristorazione, proponendo per i loro clienti esperienze sensoriali importanti, che nulla hanno a che invidiare a certi locali. Tra questi “illuminati” c’è Clementina Pizzeria a Fiumicino (Rm), una realtà che merita di essere citata come esempio di progettualità ideale, sicuramente non l’unica in Italia ma tra quelle più conosciute da chi scrive e con cui abbiamo avuto il piacere più volte di chiacchierare intorno all’argomento (calice in mano ovviamente).
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Daniele Mari, oggi sommelier di “Clementina”, arriva qui per caso due anni fa e da semplice cliente nel giro di tre mesi ne diventa il direttore di sala: “Ricordo che prima di andare via, ho conosciuto Luca Pezzetta con il quale ho avuto un confronto sull’esperienza di quella sera: la carta dei vini con una decina di referenze non era assolutamente adeguata alla sua proposta, così complessa e rivoluzionaria. Era necessario maggiore coraggio. Oggi la carta dei vini include quasi 300 bottiglie, comprese quelle fuori carta, con una sezione dedicata alle etichette francesi importate senza intermediari, due cantine in esclusiva e una quarantina di proposte tra gin, distillati, amari e grappe. Un progetto personale, frutto di mesi di lavoro, viaggi e ricerca”.
 
Ma come stanno veramente le cose in pizzeria? “La figura del sommelier è ormai diffusa nelle pizzerie contemporanee e totalmente assente in quelle convenzionali”, ci dice il nostro sommelier. “Per me il vino ha la stessa valenza di un piatto. Quindi, mi piacerebbe trovare in ogni pizzeria una carta dei vini che sia coerente con l’identità del locale. Ben vengano i corsi di approfondimento e di avvicinamento al mondo del vino, purché generino un risultato specifico e non disordinato. Oggi, in molte pizzerie le carte vengono elaborate dalle agenzie: lo trovo poco gratificante, anzi mortificante. Pensateci bene: dove sarebbe la diversità se bevessi una Ribolla Gialla di quel produttore e la ritrovassi, la settimana successiva, anche in un’altra pizzeria? Dove sta la ricerca e dov’è il lavoro del sommelier? Ma soprattutto: come ci possiamo distinguere? Questo deve essere il nostro faro. Da “Clementina” facciamo questo: ci distinguiamo”.
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Ragionando sul concetto della diversità o meglio dell’unicità, possiamo dire che “Clementina” non è una “banale” pizzeria. Per chi è stato qui, sa che c’è la possibilità di un percorso composto da una serie di lievitati e topping ricercati creati da Luca Pezzetta che trova in parallelo uno o più percorsi disegnati da Daniele Mari, che ci racconta come ha costruito la sua carta dei vini: “Abbinare sui piatti e i lievitati di Luca per me è uno stimolo quotidiano. C'è talmente tanta complessità, profondità di sapori, integrazione di profumi che trovare il prodotto giusto per molti è più semplice di quello che si pensi. Ma io amo sbalordire con un pairing difficile: è lì che mi piace eccellere.
La carta di “Clementina” è unica: ho lavorato con una divisione inusuale per famiglie e non per regione, individuando 3 o 4 focus su alcune uve che prediligo e che, secondo me, si sposano perfettamente con le creazioni di Luca. Avere una pagina intera di Riesling o di Pinot Nero o, ancora, di Chablis lo trovo stimolante per me e credo lo sia anche per i nostri clienti. Ma esistono anche dei paletti che secondo me vanno rispettati: avere dei vini con determinate caratteristiche è elemento fondamentale per andare incontro ai gusti della clientela, a prescindere dall’identità del locale. Per esempio, da “Clementina” le bollicine sono le più vendute, tanto da aver creato una selezione totalmente in esclusiva tra Franciacorta, Champagne, Rifermentati, Metodo Charmat”. E continua: “Per quanto concerne il discorso pizza e vini del territorio, sono dell’avviso che si può e si deve fare di più, soprattutto nel nostro Lazio. La prossima carta di “Clementina” avrà infatti una profondità diversa e la nostra regione uno spazio ancora più ampio. Ogni pizzeria dovrebbe dedicare una pagina intera ai prodotti del territorio sempre e comunque”.
 
Al di là dei metodi o delle tecniche di abbinamento è sempre l’emozione che vince e la voglia di creare esperienze da vivere: lo ha sottolineato Luongo e lo conferma anche Mari, che vede l’abbinamento pizza-vino come un qualcosa di privato, di intimo, con cui divertirsi soprattutto se sei quello seduto al tavolo: “I miei clienti si affidano a me al 100%. La cosa importante per loro è bere sempre differente per non annoiarsi e per scovare cose diverse. I clienti nuovi, invece, rimangono sempre un pò spiazzati ma, se riesco a entrare nella loro testa, allora il gioco è fatto”.
 
C’è un tassello fondamentale che ancora non abbiamo affrontato ed è quello della formazione per questo tipo di pairing. Ho chiesto ad ambedue gli interlocutori se secondo loro fossero più da formare i pizzaioli, i sommelier o i clienti. Entrambi hanno risposto senza esitazione: “tutti e tre”, ognuno in forma differente sicuramente ma con la chiara coscienza di crescere tutti insieme e creare un dialogo senza mai essere al di sopra.
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di Giusy Ferraina

Marzia Buzzanca

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