Ma quando è nato il “mito” della cucina facile? Poco più di cinquant’anni fa, nel corso degli anni ’50-60 del secolo scorso, quando lo sviluppo industriale italiano ha aperto le porte delle fabbriche anche alle donne, alle quali venne a mancare il tempo da dedicare alla cucina avuto dalle generazioni precedenti. Bisognava fare presto, preparare un pranzo per la famiglia in meno di mezz’ora. Sono gli anni nei quali entrano in casa le nuove attrezzature: forni, frigoriferi, pentole a pressione, e tutto per velocizzare la preparazione, per renderla più facile, nell’illusione di ottenere dei piatti buoni, saporiti e nutrienti ancor meglio di quelli preparati prima della guerra dalle nonne.
Era una cucina essenziale, serviva a nutrire, forse a riempire la pancia, senza però la capacità di regalare soddisfazioni gastronomiche, senza garantire la purché minima emozione. Poi la classe media americana, racconta Elisabeth G. Dunn, capì che si era andati peggiorando e, chi poteva, si faceva arrivare in casa il pranzo o la cena dal vicino ristorante e non occorreva neppure riscaldarlo. Più facile di così! In Italia la vecchie trattorie famigliari, sia nelle città come nei paesi, badarono assai poco a questi cambiamenti e continuarono imperterrite, ancora per qualche decennio, a preparare i loro piatti tradizionali come in passato, ricordando a tutti che per fare buona cucina servono conoscenze, tanta esperienza e tanto amore.
C’è stata poi la discussione molto animata se era da preferirsi la cucina del territorio o quella realizzata con i migliori prodotti reperibili sul mercato. Come dire: prodotti del territorio o prodotti non importa da dove provengono? Le opinioni continuano a divergere, anche a livello di grandi cuochi (gli chef lasciamoli negli studi televisivi). Credo che ogni paese, ogni comunità abbia alle spalle una propria storia, proprie esperienze, proprie consuetudini, storia, esperienze e consuetudini diverse da quelle di altri paesi e l’insieme di storia, cultura, esperienze, tradizioni caratterizzano l’identità di una comunità che è un patrimonio di valori che non possono andare perduti pena la perdita di identità.
E come si traduce tutto ciò in cucina? Conservando con sapienza il patrimonio culinario elaborato nel corso del tempo dalle passate generazioni, continuando a elaborarlo e aggiornarlo anche secondo le mutate esigenze nutritive e i gusti nuovi, senza eliminare ciò che di buono si produce nel territorio. È pur vero che si è quasi ovunque passati, in Italia, dalla cucina del grasso animale a quella dell’olio d’oliva; che la dieta mediterranea, tipica di certe aree del sud Italia è diventata patrimonio comune di tutti gli italiani, ma resta anche vero che ogni area ha conservato, ad esempio, i propri Ristorante take-away formaggi, i propri salumi, i propri dolci; ha continuato ad usare i propri ortaggi a volte conservati secondo proprie tradizioni. Tutto ciò ci dice che l’evoluzione in cucina è costante, ma all’interno di un patrimonio agroalimentare che ha caratterizzato la storia delle generazioni passate.
Torna quindi la domanda: esiste la cucina facile? Credo si debba rispondere negativamente, a meno che non si faccia come le famiglie benestanti americane che si facevano portare il pranzo dal ristorante vicino. No, non esiste cucina facile, ma, parlando di cucina “vera”, esiste la cucina seria, Jamie Oliver Cucina facile in 15 minuti frutto di cultura, di conoscenze, di abilità operative che non si apprende guardando certe insulse trasmissioni TV, ma studiando, provando, frequentando, come ormai succede ovunque, dei corsi di cucina. E i professionisti? Devono studiare di più e ad ampio raggio, conoscere di più includendo anche la chimica e la fi sica, frequentare corsi di alta cultura gastronomica tenuti da docenti qualifi cati, non fermarsi mai, non accontentarsi mai. Poi sarà facile realizzare i piatti in modo serio, capaci di regalare vere emozioni gastronomiche ai clienti, ma quanto lavoro alle spalle!
Lo ripeto: no, non esiste la cucina facile!