So che fai parte dell’Alleanza Slow Food, dimmi, cosa ti ha spinto in questa direzione e quali sono i vantaggi a parer tuo?
Già prima di entrare a far parte dell’Alleanza, senza volerlo, avevo una “condotta slow”. Ho sempre selezionato aziende che ne facevano parte, puntavo su prodotti di eccellenza campana, sulla ricerca e poi sono un maniaco sul “discorso rifiuti”. Prima che scoppiasse la pandemia, con l’Associazione Annalisa Durante di Forcella, abbiamo avuto l’occasione di fare un percorso insieme al Parco Letterario del Vesuvio Legambiente, Slow Food nelle zone vesuviane, con Nio, Maria Lionelli, Paola Silvi, Giosuè Silvestro e abbiamo iniziato con la formazione; poi, con altri ristoratori di Forcella, facevamo incontri in cui si parlava di pomodoro, mozzarella, olio, ambiente.
Questo percorso ha portato alla nascita di una bella comunità. Rispetto ai vantaggi, in realtà non sono tanto importanti quelli quanto le soddisfazioni che ho avuto. Il mio studio è stato molto limitato, quindi sono felice di poter fruire anche della conoscenza di altri. Quando parlo con determinate persone imparo tanto, sono inondato dalla loro conoscenza e questo mi affascina molto. Cerco di imparare il più possibile.
Soprattutto sui prodotti…
Su tutto. Ho conosciuto Don Federico Battaglia a Somma Vesuviana: è una persona impegnatissima con il recupero dei giovani e dei senzatetto. Con lui e altri stiamo facendo un bel lavoro. Anche questo è Slow Food, non solo cibo. Sì, va bene il “buono, pulito e giusto” ma c’è anche il “per tutti” che significa anche inclusione. Noi siamo impegnati tutti i giorni e facciamo quello che possiamo senza stancarci.
Due pizze fritte a cui non dovrei proprio rinunciare e che mi consiglieresti di assaggiare?
Dimmi perché e come sono fatte.
Necessita una premessa. Nella mia vita ci sono due tasti dolenti: uno riferito alla nascita della pizzeria nel 2014, quando ho aperto tutti dicevano “ma chi se la mangia? Nessuno!”. Sappiamo com’è andata in realtà; hanno lavorato con me Isabella De Cham, Emanuele Graziano che oggi sta da Sorbillo e qualche altro giovane. Oggi con me sul banco c’è Carmine Calise, è arrivato quando aveva 17 anni, il classico scugnizzo di Forcella – in senso buono ovviamente – che faceva le consegne e oggi ha un contratto come pizzaiolo. Non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo a cui ho dato questa opportunità, io credo molto nei giovani.
Il secondo punto dolente riguarda le pizze. Con chiunque parli la classica pizza fritta è quella con ricotta, cicoli, provola, pepe e una fogliolina di basilico. Io smentisco tutti. Il ripieno della classica è un altro. La storia dice che la pizza fritta di una volta era semplicemente impasto, sugna e una fogliolina di basilico. Solo in un secondo momento è nato il mito di quella che oggi viene considerata “classica”.
Come facciamo allora ad avere una certezza?
Bisogna intervistare gli utenti. Io ti dico che più dell’80% dei napoletani chiede la pepe, cicoli, provola e pomodoro, senza ricotta. Il fatto che il popolo scelga un determinato prodotto è ciò che ne fa un prodotto, appunto, popolare. C’è da sfatare un mito a mio parere.