FORCELLA LA PIZZA FRITTA DI VINCENZO DURANTE

Storie di Pizza

Il protagonista di questa storia ha fatto della volontà la sua forza motrice: la vita pone sempre degli ostacoli sul cammino di ognuno di noi, il tutto sta nel saperli superare.
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“QUANDO UN UOMO RIVOLGE TUTTA LA VOLONTÀ VERSO UNA DATA COSA, FINISCE SEMPRE PER RAGGIUNGERLA.”
HERMANN HESSE
 
Il protagonista di questa storia ha fatto della volontà la sua forza motrice: la vita pone sempre degli ostacoli sul cammino di ognuno di noi, il tutto sta nel saperli superare. E lui lo sa. Nato e cresciuto a Forcella, un quartiere napoletano al contempo bello e complicato, Vincenzo Durante è titolare della pizzeria “1947 Pizza Fritta” che si distingue per una gran varietà di gusti e proposte. Il suo interesse però, non si limita al buon cibo ma anche al tentativo di preservare la comunità e l’ambiente che lo circondano. Come vedremo, infatti, Vincenzo è membro attivo di molte associazioni, compresa Slow Food.
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Ricordi la prima pizza che hai fritto? Raccontami le origini di questa passione.
 
Ciò che sto per raccontarti rispecchia la pura realtà, è la stessa cosa che dico ai clienti e ai turisti. Le origini di questa passione risalgono alla mia adolescenza: la domenica mattina facevo colazione con la pizza fritta e poi andavo a giocare a calcio con gli amici.
Mia zia alle 7 del mattino urlava dal vicoletto: “svegliatevi, ‘a tengo bionda bionda”, un doppio senso molto napoletano che è poi diventato il mio slogan. Non era una buona abitudine fare colazione in quel modo ma lo facevo, come ogni adolescente nato e cresciuto in quel quartiere. Le mie prime esperienze le ho vissute con la famiglia di mia moglie che è nella ristorazione, ma non mi sono innamorato subito della pizza fritta: in realtà ho iniziato come rosticciere. Ho aperto la prima attività nel 2002 a Fuorigrotta per poi successivamente aprire a Forcella, nel mio quartiere: facevo pizza al taglio, friggitoria, panini… un po’ di tutto.
Dopo il primo locale dedicato alla rosticceria e chiuso nel 2011, ho fatto il gioielliere per quattro anni. Una domenica sera del 2009 ho subito un agguato. Un’esperienza terribile, ferito con arma da fuoco e in convalescenza per diversi mesi; ecco perché ho lasciato. Il pensiero però era sempre fisso sulla pizza. Quando ho aperto nel 2014, ho deciso di creare un locale improntato su ciò che mi sembrava più spontaneo e naturale: la pizza fritta. Non essendo specializzato nel settore decisi di affidarmi a qualcuno che lo fosse: Vincenzo Vietri, detto “capa bianca”.
Non ti nascondo che quando ho aperto e c’era Vincenzo con me, molte persone venivano perché conoscevano lui. Dopo un mese dalla mia apertura, Gino Sorbillo stava aprendo la prima “Zia Esterina” a Piazza Trieste e Trento. Vincenzo andò a lavorare da lui e questo mi diede conferma del fatto che le mie scelte, sia in termini di pizza che di collaborazione, erano state giuste. In ogni caso, sono stato il primo a Napoli a svegliarsi una mattina e decidere di aprire un locale dedicato solo alla
pizza fritta.
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La tua pizzeria si chiama “1947 pizza fritta”, è ormai chiaro che non è la data di apertura, ma ha un significato specifico?
 
Quando ho deciso di intraprendere questa strada, come tutti gli imprenditori – anche se io non mi ci sento – la prima cosa alla quale ho pensato è stata il nome. Visto che conoscevo la mia storia vissuta, ma non quella storica, mi sono documentato. Wikipedia dice una cosa molto importante: “la pizza fritta è una pizza tipicamente napoletana, anzi, forse è la più tipica delle pizze napoletane” e continua dicendo che era molto diffusa tra il 1945 e il 1947. Si sa: le donne si mettevano fuori ai bassi e friggevano questi dischi di pasta per fare un po’ di soldi. Il 1947 è l’anno di nascita di mio padre, dunque, mi è venuto spontaneo “1947 Pizza Fritta”.
 
Forcella è un quartiere simbolo di napoletanità, storia e buon gusto ma le facce della medaglia sono sempre due... Tu ne sei fortemente consapevole e ciononostante sei rimasto lì, tenendo fede alle tue origini e battendoti per esso. Hai mai pensato di andar via?
 
Forcella è un quartiere in rispolvero, io stesso partecipo a diverse iniziative per migliorarlo. Per esempio, in uno dei posti più degradati, dove prima c’era la spazzatura, oggi c’è un mercatino. Dalla cooperativa “Manallart” (in mano all’arte) all’associazione dei commercianti, tra cui Martone, Michele, il Trianon e la Gelateria Polo Nord, siamo tutti impegnati – anche la mia famiglia – soprattutto per fatti di cronaca riguardanti il passato. La storia di Annalisa non mi piace raccontarla, ma la conoscono tutti. Quando mia moglie era incinta, incontrammo mia nipote proprio nel posto in cui è stata uccisa. Quel giorno accarezzò il pancione di mia moglie dicendole quanto fosse bello e chiedendo quale sarebbe stato il nome della bambina.
Inizialmente avrei voluto chiamarla come mia madre, Carmela, ma poi è successo quel che è successo e l’ho chiamata Annalisa. Questa è ovviamente una cosa molto legata ai lati negativi di cui parlavamo, quindi rispondo “sì” alla tua domanda: ho pensato di andar via molte volte. Ma sono sempre stato molto combattuto al riguardo, non riesco a sentirmi in un punto fisso, però combatto comunque.
L’essere molto legato a qualcosa ti porta ogni giorno a metterti in discussione. Io ogni mattina mi sveglio e il primo pensiero è: “cosa posso fare per migliorare le cose?”.
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So che fai parte dell’Alleanza Slow Food, dimmi, cosa ti ha spinto in questa direzione e quali sono i vantaggi a parer tuo?
 
Già prima di entrare a far parte dell’Alleanza, senza volerlo, avevo una “condotta slow”. Ho sempre selezionato aziende che ne facevano parte, puntavo su prodotti di eccellenza campana, sulla ricerca e poi sono un maniaco sul “discorso rifiuti”. Prima che scoppiasse la pandemia, con l’Associazione Annalisa Durante di Forcella, abbiamo avuto l’occasione di fare un percorso insieme al Parco Letterario del Vesuvio Legambiente, Slow Food nelle zone vesuviane, con Nio, Maria Lionelli, Paola Silvi, Giosuè Silvestro e abbiamo iniziato con la formazione; poi, con altri ristoratori di Forcella, facevamo incontri in cui si parlava di pomodoro, mozzarella, olio, ambiente.
Questo percorso ha portato alla nascita di una bella comunità. Rispetto ai vantaggi, in realtà non sono tanto importanti quelli quanto le soddisfazioni che ho avuto. Il mio studio è stato molto limitato, quindi sono felice di poter fruire anche della conoscenza di altri. Quando parlo con determinate persone imparo tanto, sono inondato dalla loro conoscenza e questo mi affascina molto. Cerco di imparare il più possibile.
 
Soprattutto sui prodotti…
 
Su tutto. Ho conosciuto Don Federico Battaglia a Somma Vesuviana: è una persona impegnatissima con il recupero dei giovani e dei senzatetto. Con lui e altri stiamo facendo un bel lavoro. Anche questo è Slow Food, non solo cibo. Sì, va bene il “buono, pulito e giusto” ma c’è anche il “per tutti” che significa anche inclusione. Noi siamo impegnati tutti i giorni e facciamo quello che possiamo senza stancarci.
 
Due pizze fritte a cui non dovrei proprio rinunciare e che mi consiglieresti di assaggiare?
Dimmi perché e come sono fatte.
 
Necessita una premessa. Nella mia vita ci sono due tasti dolenti: uno riferito alla nascita della pizzeria nel 2014, quando ho aperto tutti dicevano “ma chi se la mangia? Nessuno!”. Sappiamo com’è andata in realtà; hanno lavorato con me Isabella De Cham, Emanuele Graziano che oggi sta da Sorbillo e qualche altro giovane. Oggi con me sul banco c’è Carmine Calise, è arrivato quando aveva 17 anni, il classico scugnizzo di Forcella – in senso buono ovviamente – che faceva le consegne e oggi ha un contratto come pizzaiolo. Non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo a cui ho dato questa opportunità, io credo molto nei giovani.
Il secondo punto dolente riguarda le pizze. Con chiunque parli la classica pizza fritta è quella con ricotta, cicoli, provola, pepe e una fogliolina di basilico. Io smentisco tutti. Il ripieno della classica è un altro. La storia dice che la pizza fritta di una volta era semplicemente impasto, sugna e una fogliolina di basilico. Solo in un secondo momento è nato il mito di quella che oggi viene considerata “classica”.
Come facciamo allora ad avere una certezza?
Bisogna intervistare gli utenti. Io ti dico che più dell’80% dei napoletani chiede la pepe, cicoli, provola e pomodoro, senza ricotta. Il fatto che il popolo scelga un determinato prodotto è ciò che ne fa un prodotto, appunto, popolare. C’è da sfatare un mito a mio parere.
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Quindi mi faresti assaggiare quella…
 
Sì, la senza ricotta con provola, pepe e pomodoro. Sul menù non c’è scritto, io la chiamo “Furcella”. Per la seconda proposta, cercherei di capire i tuoi gusti. Probabilmente ti proporrei qualcosa senza carne considerato che avresti già mangiato quella con i cicoli.

Una alla quale sei proprio affezionato?
 
La Faccia Gialla, l’ho chiamata così per San Gennaro. Questo era uno dei suoi tanti nomi per il colore del volto del busto conservato nel Duomo di Napoli. Visto che per ogni cosa che faccio ci sono sempre un significato e un motivo, ho pensato a ingredienti che richiamassero il giallo: pomodorino giallo, provola (ingrediente base della pizza fritta) e un po’ di peperoncino. I gusti più forti restano più facilmente nella mente e il piccante crea un bel contrasto con la dolcezza del pomodorino.
Poi, una bella grattugiata di cacioricotta salata, un formaggio che arriva da Avella e via.
Nel concreto è molto semplice, ma è davvero buona.
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di Noemi Caracciolo

Marzia Buzzanca

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