Bisogna, come sempre, fare una precisazione: oggi, nel linguaggio comune, per ingredienti “fuori cottura” si intendono sia preparazioni gastronomiche sia prodotti inseriti dopo la fase di cottura della pizza e possono essere prodotti crudi, cotti o addirittura ricette complesse. In origine, però, il “fuori cottura” era quell’ingrediente che proprio non si poteva cuocere e che quindi veniva apposto sulla pizza direttamente prima di essere servita o addirittura fornito al cliente al tavolo per apporne a suo piacimento. Nella pizza “classica”, dunque, i “fuori cottura” esistevano già e si chiamavano, a mo’ di esempio: prosciutto crudo, speck, salame o salsiccia stagionata ma anche olio extravergine (eventualmente aromatizzato), patate fritte, ecc.
Due trend gastronomici hanno, però, portato allo sviluppo di questo “second time” della farcitura: il primo è stato la nascita delle guide gastronomiche dedicate alle pizzerie, che hanno reso accessibile al vasto pubblico dei pizzaioli e dei loro utenti quei modi di fare pizza che si allontanavano dalla tradizione più diffusa; il secondo elemento è invece collegato alla diffusione del crudismo, chiaramente non in senso radicale (visto che una pizza cruda non si può mangiare) ma come “tendenza” che ha coinvolto sempre più persone nella volontà di maneggiare il meno possibile le materie prime.
Così, dal 2013 a oggi, la mania degli “out of cooking” è aumentata e, con essa, la necessità di munirsi di preparazioni sempre più elaborate sul bancone della pizzeria. Oggi, tra i fuori cottura più diffusi nelle pizzerie napoletane si trovano la parmigiana di melanzane e le polpette mentre, spostandosi a Roma e nel centro Italia, non mancano formaggi freschi e salumi; a nord-est, il radicchio la fa da padrone mentre nel nord-ovest su tutti vince la carne cruda, sia essa di Fassona, come la battuta o di vitello, come la salsiccia di Bra.