Il lavoro nella ristorazione

Serve un impegno serio e congiunto di imprenditori e scuole alberghiere per superare le polemiche sui giovani che non vorrebbero lavorare.
 
Nel mondo della ristorazione c’è un inspiegabile paradosso: il lavoro c’è, i lavoratori no. E centinaia di migliaia di persone sono a casa col reddito di cittadinanza. È difficile capire questa situazione, ancor più difficile spiegarla, ma proviamo a stendere una nostra analisi che riguarda non solo i titolari delle aziende di ospitalità e di ristorazione, ma i tanti giovani diplomati che escono ogni anno a migliaia dalle scuole alberghiere e ancora le Scuole stesse e le istituzioni cui compete l’istruzione e la formazione professionale. Dicono diversi addetti al lavoro formativo del settore turistico-alberghiero che forse solo un 10% dei diplomati resta nel settore, gli altri o si disperdono subito o poco dopo, con gravissimo danno per lo Stato e le Regioni che finanziano gli Istituti e le Scuole Alberghiere, senza avere poi riscontri accettabili.
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Perché succede questo? È pur vero che molti fra gli iscritti alle scuole ristorativo-alberghiere lasciano poi il settore perché non si sentono portati per tale lavoro; come è vero, che un buon numero di giovani vengono iscritti a queste scuole nella convinzione che siano le più facili, anche se non è per nulla così. Comunque la domanda resta: perché di fronte a migliaia di diplomati pochissimi poi seguono l’attività e perché albergatori e ristoratori all’inizio di questa estate erano preoccupati, se non disperati, non riuscendo a trovare ragazzi e giovani da poter assumere? 
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Scuola e mondo del lavoro

Non ci permettiamo e non è proprio il caso che questa rivista discuta di problemi sindacali, di orari di lavoro, di paghe e cose simili, certamente molto importanti, ma non di nostra competenza e sappiamo che ci sono autorità competenti e capaci che seguono da tempo la situazione. Il problema comunque è un altro, come ha scritto sul Corriere della Sera (14.6.22) il sociologo Mauro Magatti, dell’Università Cattolica di Milano: “Noi sappiamo che le imprese che vanno meglio sono quelle che costruiscono un rapporto di stima e di fiducia con la propria manodopera, considerata non mero elemento strumentale, ma parte essenziale del successo aziendale. Negli ultimi anni molte ricerche hanno mostrato tale correlazione. D’altro canto, altri studi ci dicono che i lavoratori oggi cercano un punto di equilibrio tra le esigenze di reddito e di sicurezza occupazionale e la qualità del lavoro: le persone (specie i giovani) hanno voglia di essere ingaggiate in progetti dotati di senso, in ambienti lavorativi positivi e costruttivi.”
 
Dove può nascere un rapporto di stima e di fiducia tra i futuri lavoratori dell’hotellerie e della ristorazione e i titolari degli alberghi e dei ristoranti, molti dei quali sono spesso all’affannosa ricerca di lavoratori? E poniamoci un’altra domanda: che rapporto c’è e che sinergie ci sono tra il mondo degli alberghi e dei ristoranti e le scuole alberghiere dove decine di migliaia di giovani si preparato alla professione? Ci sono, è vero, splendidi esempi di ottima collaborazione, ma si tratta di esempi, di pochi numeri, essendo gli imprenditori del settore più impegnati a chiedere alle scuole dei lavoratori quando ne hanno necessità che a mettere a disposizione della scuola i propri saperi e la propria esperienza lavorativa e imprenditoriale. 
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Amare il proprio lavoro

Scrive ancora Mauro Magatti: “Non sappiamo ancora quale configurazione prenderà il nuovo modello di sviluppo nel post pandemia. Sappiamo, però, che una delle dimensioni che lo qualificherà sarà la centralità (o meno) del lavoro”. Noi crediamo che l’Italia potrà conoscere un nuovo forte sviluppo economico, con aumento di posti di lavoro se il lavoro sarà al centro dello sviluppo, in sostituzione di un frenante reddito di cittadinanza, prezioso in molti casi, ma terribilmente dannoso in molti altri. E se il lavorò dovrà obbligatoriamente essere al centro del modello di sviluppo post pandemico, gli imprenditori – mi riferisco qui a quelli della ristorazione, ma vale anche per altri settori – dovranno decidersi ad entrare nelle scuole alberghiere, far conoscere le loro esperienze, far capire il valore delle loro scelte e delle loro imprese, far entusiasmare i giovani verso una professione, che, per quanto riguarda l’Italia, tutto il mondo guarda da secoli con ammirazione. 
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Sarebbe molto importante che imprenditori e scuole unissero le forze per creare percorsi appetibili, quindi, come ha scritto Magatti, progetti dotati di senso, in ambienti positivi e costruttivi”. I giovani non hanno paura dell’orario di lavoro nei ristoranti, come non hanno paura dell’orario di lavoro che c’è nelle ferrovie, nei trasporti urbani ed extraurbani, nelle case per anziani, negli ospedali, nei centri commerciali e nei tanti locali aperti anche nei giorni festivi. Da molti anni, ormai, la vita è cambiata e i giovani risponderebbero volentieri agli albergatori e ai ristoratori che anche all’inizio di questa stagione erano molto preoccupati per non trovare chi lavorasse nei loro alberghi e nei loro ristoranti. Si cominci dalle scuole e queste – e abbiamo già ottimi esempi al riguardo – con i loro dirigenti, allaccino buoni e non provvisori rapporti col mondo del lavoro, invitino gli imprenditori a parlare coi ragazzi, a rispondere alle loro curiosità e alle loro domande, creando preziose sinergie tali da far capire ai ragazzi e alle ragazze che tutti si deve lavorare e che il mondo ristorativo e alberghiero sa offrire tante belle soddisfazioni sicuramente pari, se non spesso molto migliori, rispetto a quanto succede in alti settori di lavoro. 
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di Giampiero Rorato

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