Mi pare tu abbia partecipato anche a un progetto con il carcere di Secondigliano, giusto?
Si. Abbiamo fatto proprio un campionato. Abbiamo anche nei nostri locali tanti ragazzi con particolarità – parlo al plurale perché non è che faccio tutto da solo, c’è uno staff – e quindi siamo molto orientati verso questa politica inclusiva.
Parlami dell’iniziativa “Cca’ se magna e nun se pava”
Entriamo in un piano sentimentale delicato. Andrea, che non era solo la mia spalla nei video ma anche nella vita, veniva ovunque insieme a me. Aveva questa cosa che quando andavamo a fare gli eventi, per fare l’apertura e attirare gente, diceva sempre “venite, cca se magna e nun se pava!” (“venite, che qui si mangia e non si paga”). È una frase resa celebre da Sophia Loren ne “L’oro di Napoli” di Vittorio De Sica.
Io scherzosamente mi arrabbiavo. Dopo la sua scomparsa, ho avuto l’idea di intitolargli una sala del locale sul lungomare e lì di donare, in suo onore, alcune ore a categorie particolari che non possono permettersi una pizza, figuriamoci poi una pizza sul lungomare. È una cosa bellissima, perché ogni mese diamo tra i 300 e i 500 pasti, insieme all’Onlus “Angeli di Strada” Villanova, molto legata anche all’Associazione ARCA, insieme a case-famiglia e il giro si sta allargando. Molti dicono che non si può fare beneficenza e farlo vedere ma non è vero. Non si può fare in anonimato. I nostri video, gli appelli, gli eventi, servono proprio a lanciare dei messaggi e dire: “guardate qua, la gente è assai, dateci una mano”. Non basta Errico Porzio, ci vogliono tanti Errico Porzio. È per questo che rendiamo pubblico ciò che facciamo.
D’altronde “s’adda sapè fa”! (ridiamo) Parlando di pizza, come fai a mantenere ovunque la stessa qualità?
Riguardo “PorzioNI di pizza”, il format della pizza in teglia, abbiamo un laboratorio di 500 mq dal quale parte tutto. I punti vendita, tranne tre, sono in franchising e questo è nato proprio perché riusciamo a garantire, grazie al laboratorio, la standardizzazione del prodotto. Dagli impasti, ai sughi, alle creme e alle fritture, forniamo tutto. Ovviamente, i punti affiliati fanno formazione per cottura, modalità di accoglienza, per il modo in cui servire un prodotto. Per la pizzeria dico sempre – anche se molti non ci credono e non so perché – che le attuali 13, che diventeranno 20 in questo 2024, sono tutte a gestione diretta, nessun franchising.
Non riuscirei altrimenti a garantire la stessa qualità e servizio di “PorzioNi di pizza”, perché ovviamente la pizza napoletana è un prodotto fatto al momento. Non si può mandare un impasto precotto nelle varie sedi. Quindi, lavoriamo molto sulla formazione. Abbiamo una scuola a Pozzuoli, dove i ragazzi tengono corsi per 4-5 mesi e, alla fine, fanno un esame per avere la qualifica. Quelli più bravi e vogliosi li prendiamo e smistiamo nelle nostre pizzerie. I locali sono poi raggruppati in triadi e, per ogni triade, ci sono: manager, supervisore, direttore di sala, responsabile dei pizzaioli e di cucina. Non è che Errico può saltare da un locale all’altro, altrimenti andrei al manicomio. Bisogna avere l’intelligenza di delegare e formare persone valide. I giovani hanno tanta voglia di lavorare e quelli più bravi vanno premiati. Ti basti pensare che i nostri manager sono partiti come semplici camerieri. Noi non prendiamo persone da fuori ma diamo possibilità di crescita e premiamo chi sta all’interno. Basta lavorare bene e seguire una certa linea. Questo ovviamente vale anche per sala e cucina.
Sembra che tu vada controcorrente rispetto al pensiero comune.
Alla gente che non trova personale dico sempre che bisogna cambiare mentalità. A differenza dei miei tempi, che sapevo quando entravo e non quando uscivo, oggi nei miei locali facciamo turni, diamo possibilità di far festa in maniera alternata anche il sabato e la domenica, di lavorare la mattina, oltre a una buona paga e alla possibilità di crescere. Sono elementi che ci gratificano ma che ci aiutano pure a trovare personale. Abbiamo addirittura personale in esubero e ogni giorno ricevo decine di richieste di lavoro. Dico solo che dipende molto dalla mentalità, ecco, in questo caso dell’imprenditore. Se ritieni di voler fare la pizzeria come si faceva vent’anni fa, non vai da nessuna parte.
So che ti definisci un tradizionalista moderno…
Parto da una radice storica tradizionale ma con il tempo ho modificato il mio stile di pizza con idratazioni un po’ più spinte, pur restando sempre in linea con una stesura classica, un cornicione “annunciato” e non pronunciato e con lievitazioni un po’ più lunghe. Poi la mia cottura è, come dico sempre, lenta, docile e mai aggressiva. Non a 480°C, ma a 400°C.
Cos’è per te la pizza? Proponimene una che ami particolarmente.
La pizza è una delle poche cose che unisce. La religione, il calcio, la politica dividono ma io riesco a tenere allo stesso tavolo uno juventino e un napoletano, uno di destra e uno di sinistra, un cattolico e un musulmano. È qualcosa di incredibilmente unificante, che dà unione al mondo. La pizza che ti propongo è la Montanara. Oggi i pizzaioli più evoluti parlano tutti di doppia cottura, ma noi abbiamo sempre detto “prima fritta e poi al forno”. Fa assaporare tutti i sapori: il pomodoro di qualità, perché la cottura in forno è breve, la mozzarella di bufala, la grattugiata di pecorino o di Cacioricotta, l’olio extravergine messo alla fine, il croccante con il morbido. È sicuramente una delle mie preferite.