Il valore culturale del cibo italiano più conosciuto e più diffuso nel mondo

“Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da «palcoscenico» durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale».
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Pizza, patrimonio dell’umanità

Il 7 dicembre 2017 è una data storica per l’Italia e il suo patrimonio gastronomico e culturale. Quanto riportato poco sopra è infatti la motivazione con la quale l’Unesco ha proclamato la pizza, o meglio, l’arte dei pizzaioli napoletani, Patrimonio dell’Umanità. E’ il risultato di un processo lungo, il cui iter è iniziato nel 2009 quando il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (il ministro era all’epoca Alfonso Pecoraro Scanio) aveva iniziato a redigere il dossier di candidatura con il supporto delle Associazioni dei pizzaiuoli e della Regione Campania, sfidando i pregiudizi di quanti giudicavano il lavoro del pizzaiolo solo un fenomeno commerciale e non una delle più alte espressioni identitarie della cultura partenopea. Il percorso – bisogna dirlo - non è stato privo di ostacoli: dopo un primo incoraggiamento datato 26 marzo 2015, quando l’arte dei pizzaiuoli napoletani ottiene la candidatura italiana a entrare nel Patrimonio immateriale dell’Umanità, la decisione si blocca. Non si può dire altrettanto della mobilitazione popolare e mediatica che si fa talmente battente da ottenere l’effetto di far ripartire l’iter e di far sì che la Commissione nazionale italiana per l’Unesco su proposta del ministero dell’Agricoltura e con il sostegno del ministero degli Esteri, dell’Università, dell’Ambiente e dell’Economia, decida che “L’arte dei pizzaiuoli napoletani” sarebbe stata l’unica candidatura italiana nella lista del Patrimonio Mondiale dell’umanità Unesco. La motivazione è ciò che ci permette di capire il valore della pizza, che va ben oltre quello economico: viene infatti scelta perché “rappresenta l’Italia in tutto il mondo”.

Il valore socioeconomico della pizza

A chi valuta i numeri interesserà sapere che il settore conta 150mila addetti in Italia, per un giro d’affari di 12 miliardi di euro in Italia e di almeno oltre 60 nel mondo (fonte dati CNA). Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio, mentre sono 5 i miliardi di quelle vendute in tutto il mondo. I ristoranti e le pizzerie gestite da italiani all’estero sono 72mila e incassano oltre 27 miliardi di euro l’anno. Gli americani risultano i maggiori consumatori e il riconoscimento Unesco è stato importante anche per difendere la pizza italiana da un tentativo di scippo partito dagli Usa con l’annuncio di voler candidare la “pizza” american-style. 
La ricetta italiana, infatti, non è semplicemente un elenco muto di dosi, quantità, fasi e procedimenti da rispettare, quanto piuttosto il risultato di una storia e una cultura centenarie. Leggenda vuole infatti che nel giugno 1889 il cuoco Raffaele Esposito fu convocato al Palazzo di Capodimonte, residenza estiva della famiglia reale, perché preparasse per Sua Maestà la Regina Margherita le sue famose pizze, dell’Antica Pizzeria Brandi. La pizza, ufficialmente per la prima volta, venne così realizzata con pomodoro, mozzarella e basilico, che rappresentavano la bandiera italiana.
Ed è proprio in quella prima rappresentazione dell’identità nazionale che risiede il valore di un alimento amatissimo e imitatissimo: e va da sé quindi che difenderlo e difenderne le caratteristiche, la qualità e gli ingredienti significhi difendere e tutelare la cultura italiana, fatta certamente di scrittori e intellettuali, artisti e letterati, poeti e inventori, ma anche di cuochi e pizzaioli. Il cibo rappresenta un popolo e le sue tradizioni al pari dei romanzi e delle opere d’arte: la lungimiranza e l’intelligenza di una classe politica stanno proprio nel riconoscere questa equivalenza e nell’assumere decisioni tali da trasformarla non soltanto in un volano economico ma anche in un potente testimone della storia e della cultura nazionale sia all’estero sia in Italia. Siamo purtroppo noi italiani stessi, infatti, frequentemente, a non valorizzare adeguatamente il nostro passato, a non dirci orgogliosi delle nostre tradizioni. Che, spesso contraddistinte da origini popolari – e la pizza è forse l’esempio più calzante – hanno saputo conquistare il mondo e trasformarsi in cibi ricercatissimi e “stellari”.      
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di Caterina Vianello

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