La stella del Sud

È la diversità radicata nelle fibre del mondo ad aver fatto della pizza una stella per tutti.
 
A ciascuno però l’onere e l’onore di difendere lo stile che più gli si confà. In molti provano a tirare per la giacca questo piatto celebre, provando ad attribuirsene le origini tra pani bassi e forni rinvenuti negli scavi archeologici. Quello che sappiamo per certo (fino a prova contraria) è che a Napoli nascano le prime “pizzerie”, ossia le attività dedicate esclusivamente a questo prodotto che – ricordiamolo – fino a buona parte del Novecento erano prerogativa pressoché esclusiva della città di Partenope.
 
E, se pensiamo al mestiere del pizzaiuolo, non bisogna andare tanto lontano, ovvero all’inizio del terzo millennio, per vedere quanto questo lavoro fosse considerato spesso “l’ultima spiaggia” da chi non aveva “né arte né parte”. E invece oggi l’arte del pizzaiuolo napoletano è stata inserita dall’Unesco nel prestigioso archivio del Patrimonio immateriale dell’Umanità. Non la pizza, ma la sua preparazione. Dal 2017 a questa antica arte viene riconosciuto il suo status di più alta espressione identitaria della cultura partenopea, ricca di storia e tradizione. L’abilità di trasformare un semplice disco di pasta in un’opera culturale. Come un attore sul suo palcoscenico, il pizzaiuolo è officiante di un rituale unico, attraverso il quale, con grande maestria, affascina il suo pubblico, promuove convivialità, continuità e costruisce identità. E se però si va oltre Napoli il mondo della pizza offre molte altre letture e interpretazioni in tutto il Mezzogiorno. Proviamo a scoprirle insieme, partendo ovviamente dall’ombra del Vesuvio.

Pizza napoletana

La parola “pizza” non è immediatamente riconducibile alla pizza napoletana così come la si intende oggi. È possibile trovarla in alcuni testi che alludono ad un tipo di focaccia. Per preparare la pizza napoletana, altrimenti detta “a ruota di carro” - o per dirla alla napoletana “'a rota 'e carretta” – c’era bisogno di locali specifici e personale preparato, figure nate solo nella metà del Settecento. La pizza nasce come cibo povero, arriva “dal basso” nel Settecento. L’impasto di questa pizza verace prevede una lavorazione tipicamente “a schiaffo” e una lievitazione che va da un minimo di 8 a un massimo di 24 ore (stando ai Disciplinari "ufficiali").

Pizza contemporanea

Nata in provincia di Caserta, è anche il simbolo della cosiddetta “generazione canotto”. La differenza con la pizza napoletana classica risiede nella tipologia di farina impiegata, nel metodo di lavorazione della pasta, nel maggior tempo di lievitazione e in un livello di idratazione più alto. Come suggerisce il nome, la pizza contemporanea presuppone un cornicione pronunciato, oltre ad una circonferenza più piccola rispetto alla classica pizza napoletana.
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Pizza nel ruoto

La pizza nel ruoto nasce nel mondo contadino, dalle mani delle massaie che la realizzavano con gli avanzi della preparazione del pane quotidiano. L’impasto prevede i tradizionali ingredienti che si usano per fare il pane, ma anche la pizza napoletana. È necessaria una doppia lievitazione, sebbene non troppo lunga; in compenso ha tempi di cottura più dilatati. È alta, morbida e va mangiata con le mani, viste le basse temperature alle quali può essere cotta, è considerata anche un prodotto casalingo.
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Pizza a metro

Tipica della Penisola Sorrentina, fu pensata negli anni ‘30 del Novecento da Luigi Dell'Amura detto Gigino ‘o zuzzuso. Oggi è uno stile diffuso in tutto il golfo partenopeo. Lunga fino a 180 cm, è preparata con diversi condimenti, talvolta tenuti separati da striscioline di impasto. Quest'ultimo è molto simile a quello classico, ma è più idratato, meno salato, prevede una lievitazione più breve (un massimo di sei ore) e una cottura più lunga.
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Pizza fritta

Un’altra espressione della napoletanità è la pizza fritta. Quest’ultima è nata nel dopoguerra dal genio creativo del popolo napoletano, come risposta alla miseria, alla povertà, alla mancanza di forni e alla scarsità di ingredienti. L’impasto della tradizionale pizza, fritto in olio bollente, si gonfiava e dava un maggiore senso di sazietà. Oggi la si trova nella versione “montanara”, condita sulla superficie con pomodoro e basilico (ma anche in molte altre varianti). Un tempo si farciva con ciò che si trovava, tra cui cicoli e ricotta. Nel tempo, la pizza fritta è diventata una creazione femminile. A renderla celebre è la scena del film L'oro di Napoli, diretto da Vittorio De Sica nel 1954, in cui Sophia Loren, vendendo pizza fritta, grida: “Mangi oggi e paghi fra otto giorni”.
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Pizza siciliana

A differenza della pizza napoletana, la pizza siciliana non ha una ricetta codificata. Ne esistono vari tipi, assimilabili a diverse regioni. Troviamo, ad esempio, la muffuletta, il cabbucio o la fuazza. Varianti che hanno sempre qualcosa in comune, nonostante vengano preparate seguendo procedimenti diversi. Troviamo anche lo sfincione, di origine palermitana, simile ad una focaccia e il pizzolo. Quest’ultimo, pizzòlu in gergo siciliano, è una “pizza” rotonda farcita, il cui nome sembra derivare da una pietra ovale che secondo Socrate rappresentava la ciclicità della vita. Questa variante di pizza è una specialità di Sortino, un piccolo borgo situato in alta collina ed ha origini molto antiche. È un prodotto tipicamente contadino, veniva preparato con gli avanzi di pasta per il pane e farcito con le verdure di stagione.
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Pizza calabrese

La pizza calabrese prende ispirazione dalla pizza romana, è estremamente sottile e croccante, si suole definirla per tale motivo “croccante calabrese”. Viene stesa solitamente con un mattarello, la cottura è lunga e la farcitura è a piacimento. Gustare una Croccante Calabrese è un viaggio culinario e storico-antropologico legato alla Grande Emigrazione, che interessò il popolo calabrese dalla fine dell’800 alla fine del ‘900, un viaggio nella “Calabria nel mondo”: dalle Croccanti Calabresi Classiche, che parlano dei mari e dei monti calabresi, alle Croccanti Calabresi Internazionali, la perfetta combinazione di ingredienti calabresi e internazionali. Ideata da Bruno De Rose, fondatore della Scuola Italiana di Ristorazione Wine-Food, la croccante calabrese si prepara con uno speciale lievito madre di frumento intero e necessita di una lievitazione minima di 48 ore. Vista la lunga e lenta fermentazione, si distingue per le sue caratteristiche di alta digeribilità.

Pizza pugliese

Figlia di una storia molto antica e ricca di tradizioni, la focaccia barese è simbolo universale della cultura gastronomica della regione. Definita a “f’cazz”, in gergo pugliese, ha un fondo croccante e oleoso, con il bordo leggermente bruciacchiato. Si racconta che sia nata per sfruttare il calore iniziale del forno a legna, mentre si aspettava che fosse pronto per cuocere il pane di grano duro. La focaccia barese nasce come spuntino (e conserva questo status ancora oggi). L’impasto di base e la lunga (doppia) lievitazione sono comuni a tutte le focacce pugliesi, ma quella barese nello specifico si caratterizza per l’uso delle olive nere.

Pizza sarda

In Sardegna, così come nel resto d’Italia, è diffusa la tipica pizza rotonda d’ispirazione napoletana, ma qui la si condisce con i tipici prodotti sardi. Il vero prodotto tipico della zona, però, è la panada. Quest’ultima ha origini molto antiche, era considerata la base dell’alimentazione pastorale, un impasto ripieno di uva passa e carne condita. Modificata in seguito all’invasione spagnola e poi riportata alle origini, questa pietanza ha subito diversi cambiamenti. Oggi la panada è una pizza soffice, alta, ripiena di vari tipi di carne, verdure e formaggi. Viene cotta nel forno a legna e poi condita con un filo di olio extravergine di oliva bollente.
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A cura della redazione

Marzia Buzzanca

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