Pensare globale e agire locale

Manuela Vanni svela la ricetta per una "cucina a impatto zero".

"La crisi energetica che stiamo attraversando e che non ci abbandonerà tanto facilmente sta costringendo molti ristoratori a rivedere le tecniche di gestione e di produzione. Fortunatamente, questo maggior interesse sta facendo scoprire a grandi aziende - ma anche a chef e patron di locali della ristorazione - che investire sulla sostenibilità non è più un costo ma una vera e propria tattica imprenditoriale. In molti hanno fiutato da tempo che dichiararsi impegnati nella produzione sana e sicura di un pasto ha dei seguiti economici apprezzabili."
 
Suonano quanto mai puntuali in questo tempo post-pandemico (se così possiamo chiamarlo) le parole di Manuela Vanni, giornalista, autrice di libri di cucina e fotografa. Un profilo che trova pieno compimento nella sua opera più acclamata: Cucina a impatto zero, edita da Giunti nel 2019, giusto qualche mese prima che l’esplosione pandemica costringesse tutti a fare i conti con la sostenibilità.
 
Laureata in Lettere, da sempre appassionata di cibo e di cucina, Manuela Vanni ha viaggiato a lungo, sviluppando un’approfondita conoscenza delle tradizioni e delle tecniche alimentari di vari Paesi. Dopo aver gestito un ristorante che proponeva piatti rinascimentali e che aveva come nome “La dama e l’unicorno”, è approdata al mondo dell’editoria e ha coltivato nel tempo la passione per la produzione in proprio.
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Cosa vuol dire oggi “sostenibilità”?

Un qualsiasi processo di natura economica che permette di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere gli stessi per la generazione futura, è sostenibile. È un tema che ci tocca da vicino ma che non è di semplice attuazione. Questo perchè qualsiasi azione umana (raggiungere il posto di lavoro, acquistare del cibo e cucinarlo, riscaldare la propria abitazione, utilizzare il computer o lo smartphone per leggere questo articolo) implica necessariamente una trasformazione dell’ambiente che ci circonda con conseguenze a volte disastrose. La valutazione di questa trasformazione o impatto ambientale è la chiave su cui ruota il concetto di sostenibilità. Per via di questa complessità e di una serie di effetti a catena a conseguenza delle nostre scelte di vita, comprendere cosa sia davvero sostenibile e quali siano le azioni da intraprendere per vivere secondo questo precetto, non è semplice.

Come la ristorazione può dare il proprio contributo al raggiungimento di tale obiettivo?

La sostenibilità alimentare in una cucina professionale è un tema importante che, come già anticipato, deve essere affrontato su più livelli. In un’ipotetica giostra-ristorante, il cibo è chiaramente al centro e rappresenta il perno da cui partono tanti bracci, ognuno dei quali ha la medesima importanza. Ogni braccio indica un particolare momento produttivo di cui si deve tenere conto.
 
Troviamo così il braccio del “progetto del piatto” (cioè su quale alimento si vuole puntare), quello dello “studio del mercato”, per capire cosa offre e quali prodotti prediligere, il braccio della “riduzione degli sprechi” che vuol dire non solo ridurre al minimo gli scarti ma anche saper trarre il massimo da un alimento. Chi si occupa di ristorazione ha una grande responsabilità da questo punto di vista. Anche se la FAO afferma che solo il 16% dello spreco alimentare derivi dalla ristorazione, è anche vero che mai come in questi anni la cucina è costantemente sotto i riflettori e pertanto deve dare il buon esempio mettendo in pratica una serie di best practices per ridurre l’impatto ambientale, salvaguardare l’etica del lavoro, dando il giusto valore al territorio con il suo patrimonio culturale, umano e agroalimentare. Buone pratiche che non sono solo a basso impatto, ma arricchiscono culturalmente ed economicamente (cosa affatto disdicevole se si apre un’attività commerciale come un ristorante) chi le persegue.
 
Perchè tutto funzioni al meglio, è dunque importante informarsi, studiare e usare la testa. Il cuoco attento deve conoscere il mercato e ciò che propone così da fare di volta in volta le scelte migliori, le più sostenibili ed eticamente corrette, deve sapere tutto ma proprio tutto del cibo che vuole trasformare, deve avere ben chiare le tecniche di conservazione e di cottura a basso impatto. In poche parole e piegando uno slogan del sociologo Bauman, lo chef contemporaneo deve “pensare globale e agire locale”.
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È davvero possibile realizzare una cucina a “impatto zero”? Con quali accorgimenti?

Molte strategie di comunicazione hanno alimentato il sogno romantico del cuoco che acquista solo prodotti locali e prima di andare al mercato del paese passa col cestino a raccogliere muschi, funghi e bacche. Per carità, va bene cos , ma essere sostenibili non è solo questo. Bisogna partire dalla costruzione di cucine anti spreco mediante la scelta di macchinari d’avanguardia già in fase di progettazione con attrezzature a risparmio energetico e idrico, acquistando stoviglie e contenitori riciclabili e, soprattutto, dall’ideazione di un menu basato sì su prodotti locali e di stagione ma che tenga conto anche dei costi di produzione per ottenerli. Non sempre locale o “Km 0” è sinonimo di sostenibilità: uno studio di qualche anno fa ha dimostrato che l’impatto ambientale dell’allevamento di agnelli della Nuova Zelanda era inferiore a quello degli stessi animali allevati in Germania perchè nel primo caso gli animali vivevano tutto l’anno all’aria aperta, mentre nel secondo dovevano crescere in stalle riscaldate durante i rigidi inverni europei. Inoltre, sarebbe bene conoscere tecniche antiche e moderne per ricavare ottimi piatti da ogni prodotto (ad esempio acquistando una mezzena di manzo già porzionata dal macellaio per abbattere i costi e proporre alla clientela tutte le parti dell’animale, non solo filetti e costate vendute singolarmente a prezzi elevati e poco sostenibili), ridurre il peso dei rifiuti utilizzando “gli scarti” di carni, pesci e verdure per preparare brodi, fondi, decorazioni, ecc e, infine, comunicare che il ristorante si comporta eticamente alla clientela, ormai sempre più attenta e sensibile sulla tematica in questione.

Chi oggi ha maggiori possibilità di essere “sostenibile”: un locale con molti coperti, una piccola osteria tradizionale o una multinazionale?

Certamente le multinazionali hanno maggior interesse a essere sostenibili e a mettersi in regola in questo settore. Inoltre, comprando grandi quantità di materie prime e suppellettili sostenibili e riciclabili, hanno forti sconti al momento dell’acquisto. Detto questo, il cammino verso una ristorazione etica è percorribile da tutti. Basta prefissarsi degli obiettivi semplici a breve termine e iniziare a investire in maniera più radicale per gli anni a venire.
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Ridurre gli sprechi è possibile anche in casa: quali sono i suoi consigli per cucinare a impatto zero in casa?

La preparazione di un pasto a casa o in un ristorante sottostà alle medesime regole: usare la testa al supermercato, leggendo sempre l’etichetta, comprando prodotti locali, di stagione o che provengono dall’estero ma che sono certificati come sostenibili (diversi i marchi di aziende virtuose apposti sulle confezioni che aiutano a scegliere in maniera etica), cercare di ottimizzare le cotture (in particolare nel forno), prediligere quelle rapide, magari dopo aver tagliato e sminuzzato gli ingredienti, una tecnica perfetta per i pesci (mi raccomando, adulti, di stagione o allevati eticamente e di piccole dimensioni), o le cotture lunghe, ideali per i tagli di carne meno noti e sostenibili, ma rigorosamente in Roner, in slow cooker, in pentola a pressione, oppure utilizzando delle borse coibentate dove inserire la pietanza a metà cottura.

Ci fa un esempio di una ricetta “sostenibile”?

Farò di più, vi darò un intero menu: sgombro abbattuto e marinato con julienne di verdure, pasta e patate (terminando la cottura in borsa coibentata), diaframma di manzo saltato o nitukè di verdure con bocconcini di seitan, bucce di patata fritte e torta di pane. Ecco, anche la sostenibilità può dunque mettere un certo appetito…
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di A. P.

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