Come la ristorazione può dare il proprio contributo al raggiungimento di tale obiettivo?
La sostenibilità alimentare in una cucina professionale è un tema importante che, come già anticipato, deve essere affrontato su più livelli. In un’ipotetica giostra-ristorante, il cibo è chiaramente al centro e rappresenta il perno da cui partono tanti bracci, ognuno dei quali ha la medesima importanza. Ogni braccio indica un particolare momento produttivo di cui si deve tenere conto.
Troviamo così il braccio del “progetto del piatto” (cioè su quale alimento si vuole puntare), quello dello “studio del mercato”, per capire cosa offre e quali prodotti prediligere, il braccio della “riduzione degli sprechi” che vuol dire non solo ridurre al minimo gli scarti ma anche saper trarre il massimo da un alimento. Chi si occupa di ristorazione ha una grande responsabilità da questo punto di vista. Anche se la FAO afferma che solo il 16% dello spreco alimentare derivi dalla ristorazione, è anche vero che mai come in questi anni la cucina è costantemente sotto i riflettori e pertanto deve dare il buon esempio mettendo in pratica una serie di best practices per ridurre l’impatto ambientale, salvaguardare l’etica del lavoro, dando il giusto valore al territorio con il suo patrimonio culturale, umano e agroalimentare. Buone pratiche che non sono solo a basso impatto, ma arricchiscono culturalmente ed economicamente (cosa affatto disdicevole se si apre un’attività commerciale come un ristorante) chi le persegue.
Perchè tutto funzioni al meglio, è dunque importante informarsi, studiare e usare la testa. Il cuoco attento deve conoscere il mercato e ciò che propone così da fare di volta in volta le scelte migliori, le più sostenibili ed eticamente corrette, deve sapere tutto ma proprio tutto del cibo che vuole trasformare, deve avere ben chiare le tecniche di conservazione e di cottura a basso impatto. In poche parole e piegando uno slogan del sociologo Bauman, lo chef contemporaneo deve “pensare globale e agire locale”.