Provoloni a marchio Dop: le due eccellenze italiane, espressione di Nord e Sud.

Una pasta filata ad accomunare il procedimento di lavorazione, ma due storie e due universi gustativi differenti: ecco gli unici due provoloni certificati in Italia, il Valpadana e quello del Monaco, entrambi di latte vaccino. Per conoscere origini e peculiarità , abbiamo pensato di raccontarveli nei dettagli, in un viaggio geografico da Nord a Sud.

Provolone Valpadana

Non c’è dubbio che quel “valpadana” nel nome sia lì a circoscrivere un’area di produzione ben delimitata: il Provolone “del nord Italia”, a marchio Dop dal 1996, viene prodotto nell’intero territorio delle province di Cremona, Brescia, e alcuni comuni delle province di Bergamo, Mantova e Lodi, in Lombardia; Verona, Vicenza, Padova e Rovigo, in Veneto; alcuni comuni della Provincia Autonoma di Trento e nella provincia di Piacenza, in Emilia-Romagna. Se l’immaginario collettivo legato al mondo caseario italiano porta a collocare geograficamente le paste filate nel centro sud dell’Italia, la storia del Valpadana è pronta a smentire i pregiudizi.
A voler ben guardare, le origini risalgono al Medioevo e si intrecciano con le opere di bonifica e canalizzazione delle acque dei fiumi Lambro ed Adda compiute dai monaci cistercensi: il territorio ne risultò trasformato e si gettarono le basi per un sistema economico basato su agricoltura e allevamento bovino che, dal nucleo originario, si diffuse a tutta la Pianura Padana. È tuttavia nella seconda metà del XIX secolo che nasce la produzione: è infatti con l’Unità d’Italia del 1861 che si assiste alla combinazione tra la vocazione lattierocasearia del territorio e la cultura delle paste filate. L’insediamento al Nord di imprenditori provenienti dal meridione, che avevano trasferito nelle province di Piacenza, Cremona e Brescia le proprie attività produttive è determinante.
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Per gli amanti delle definizioni, il Provolone Valpadana Dop è un formaggio semiduro a pasta filata. Viene prodotto in due tipologie, dolce e piccante: la differenza risiede sia nell’uso del tipo di caglio, vitello per quello dolce, capretto e/o agnello per quello piccante, sia nelle dimensioni, più contenute per il primo, più grandi per il secondo. Dopo la mungitura, il procedimento di lavorazione prevede che il latte (di vacca frisona), venga arricchito da siero-innesto, cioè siero proveniente dalla lavorazione del giorno precedente e lasciato riposare un giorno e una notte. Viene quindi aggiunto il caglio animale, diverso a seconda della tipologia dolce (vitello) o piccante (agnello e/o capretto) per la tipologia Piccante.
Raggiunta la consistenza sufficiente, la cagliata viene rotta meccanicamente; in seguito si aumentata la temperatura in caldaia e, al termine, la massa viene travasata su appositi tavoli per l’acidificazione e il drenaggio. La pasta viene poi sottoposta a riscaldamento e successivamente filata e quindi modellata manualmente o servendosi di stampi appositi, a seconda della forma che si vuole ricavare. Una volta modellata, la pasta viene messa a salare in salamoia per un tempo variabile da poche ore fino a 30 giorni, in relazione al peso della forma. La stagionatura minima varia da 10 giorni, per le forme più piccole, a 30 per quelle medie, a un minimo di 90 giorni per quelle più grandi e per la tipologia piccante, che può superare i 12 mesi. Prima della stagionatura si procede anche alla legatura, da cui sono visibili manualità, arte e maestria del casaro.
Sono 4 le principali forme del Provolone Valpadana:
- tronco-conica (chiamata anche gigantino)
- melone/pera, caratterizzata da una base più larga e una sommità più stretta
- a fiaschetta, il formato più piccolo a disposizione, con una sfera sormontata da una “testolina”, che viene utilizzata per la legatura
- salame (detta anche pancettone), che è la forma più comune utilizzata e tagliata per la grande distribuzione ma impiegata anche per i grandi formati
In genere le forme più piccole sono quelle del Provolone Valpadana in versione dolce. Quella piccante è invece tipica dei formati più grandi, che possiedono le giuste caratteristiche chimico-fisiche per far fronte al processo di stagionatura. Il Valpadana ha crosta sottile, lucida e liscia, di colore giallo chiaro, dorato e tendente al giallo bruno o paglierino nel caso di quello piccate. La pasta è compatta, semidura, con eventuale leggera occhiatura, sfogliata e di colore avorio o giallo paglierino. Il sapore è delicato per il tipo dolce. In cucina è ideale tagliato a cubetti in insalata o antipasti; si abbina bene a pere, noci e pane; ottimo in fonduta, viene esaltato sulla pizza. Sapore più deciso e intensità aromatica maggiore per il piccante, che può essere protagonista di torte salate, soufflè, secondi di pesce e carne.
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Il Provolone Valpadana può essere anche affumicato, sia in versione dolce che piccante. Vengono in genere scelte le forme più piccole, intorno al kg di peso per la versione dolce, mentre si privilegiano quelle più grandi per il piccante. L’affumicatura prevede un’aromatizzazione attraverso il “fumo liquido”, che può essere aggiunto per nebulizzazione, docciatura, immersione o iniezione. Inconfondibile, il caratteristico aspetto esterno brunito giallo-marrone.
La denominazione "Provolone" comparare in letteratura per la prima volta nel 1871, nel "Vocabolario di agricoltura di Canevazzi-Mancini" (Cappelli, 1871): definisce una provola di grandi dimensioni, ed in effetti è proprio una misura più grande rispetto a quella delle altre paste filate diffuse nel meridione, a distinguere il provolone. La denominazione di origine "Valpadana" arriva invece più tardi, nel 1993.

Provolone del Monaco

Ci si sposta decisamente più a sud, in Campania, per il Provolone del Monaco. Formaggio semiduro a pasta filata, è stagionato e prodotto esclusivamente con latte crudo vaccino ottenuto per almeno il 20% da bovine di razza Agerolese (diffusa oggi solo nei comuni di Agerola e Gragnano), e per la quota restante da razze diverse (Frisona, Brunalpina, Pezzata Rossa, Jersey, Podolica). La zona di produzione comprende 13 comuni della provincia di Napoli (Agerola, Casola di Napoli, Castellammare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Pimonte, Sant’Agnello, Sorrento, Santa Maria La Carità, Vico Equense).
Vale la pena ricordare che la razza Agerolese ha rese modeste, ma il latte che produce vanta un’altissima qualità, dovuta ad una serie di fattori, tra cui le caratteristiche microclimatiche e la conformazione geografica dell’are dei Monti Lattari. A voler cercare le origini del Provolone del Monaco, bisogna risalire al 260 a.C, quando i Picentini, primi abitanti dei Monti Lattari, cominciarono ad allevare bovini. Determinante il ruolo dei Borboni che favorirono il miglioramento genetico degli animali ma il merito del raggiungimento di una nuova razza, l’Agerolese appunto, si deve a Paolo Crescenzo Avitabile, che incrociò meticci di Bruna e Podolica con la razza Jersey.
Quella di Avitabile è una storia nella storia e merita di essere raccontata. Nato Agerola nel 1791, 1850, trascorre la maggior parte della vita in Oriente. Da giovane, in Italia, combatte per Napoleone (Waterloo) e per i Borboni (assedio di Gaeta), poi lascia il regno e parte come soldato di ventura. La destinazione è l’America ma un naufragio lo fa desistere e gli fa scegliere l’Asia. Arriva in Persia nel 1820 dove diventa generale dell’esercito dello Scià. Ambizioso e determinato, nel 1827 è al comando delle truppe del Maharaj Singh, fondatore dell’impero Sikh, mentre nel 1835 fonda nel nord-ovest del Pakistan, nella regione del Panjab, la città di Wazirabad. Diventa quindi governatore del Peshawar, turbolenta zona di confine in guerra con i ribelli afgani. Qui nasce la fama circa la sua disciplina e la sua brutalità, che gli consentirà di domare i ribelli con metodi di terrore ricordati ancora oggi: in quei luoghi, per spaventare i bambini, le madri li minacciano di chiamare l’uomo nero, Abu Tabela, nome di Avitabile in Oriente.
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La fama di Avitabile arriva fino agli inglesi, che si rivolgono a lui per contrastare gli afghani. L’operazione riesce, liberando il territorio in favore dell’esercito britannico e anni dopo, quando il militare decide di tornare a casa, gli inglesi, come ringraziamento, gli regalano alcune vacche di razza Jersey, all’epoca preziosissime, tanto che non potevano essere portare fuori del Regno Unito. In patria, Avitabile sperimenta e incrocia le vacche autoctone con la Jersey dando origine appunto alla razza “Agerolese”. È del 1909 la prima descrizione dettagliata della razza ma è solo nel 1952 che si registra ufficialmente il nome di “razza Agerolese”.
Il procedimento di lavorazione prevede che il latte venga fatto coagulare per 40-60 minuti con aggiunta di caglio in pasta di capretto o caglio naturale liquido di vitello. Una volta raggiunta la consistenza desiderata, la cagliata viene rotta in grani grandi quanto un chicco di mais e lasciata riposare per 20 minuti, quindi riscaldata fino a 48-52 C e lasciata riposare per altri 30 minuti. Viene quindi estratta dal siero e trasferita in teli di canapa o cestelli forati. Quando la pasta è sufficientemente elastica, si procede al taglio in fettucce di dimensioni variabili e poi alla filatura, modellandola a mano con l’aiuto di acqua a 85-95 °C. Le forme ottenute, una volta rassodate in acqua fredda e salate in salamoia, sono legate a coppie e appese su apposite incastellature dove asciugano per 10-20 giorni, successivamente vengono messe a stagionare in ambienti a temperatura compresa tra gli 8 °C ed i 15 °C per non meno di sei mesi, ma arrivando anche ai 18 °C.
La forma tipica è simile a quella di un melone allungato o di pera senza testina, divisa in un minimo di sei facce, e di peso variabile tra i 2,5 e gli 8 kg. La pasta ha consistenza elastica, compatta e uniforme con occhiature di diametro variabile sino ai 5 mm. La crosta è sottile e quasi liscia, di colore giallognolo con toni leggermente scuri e tende a diventare più gialla e spessa quando la stagionatura supera i 7-8 mesi, rendendo anche la pasta più consistente. Il sapore è dolce e burroso, decisamente articolato per la presenza di note piacevolmente piccanti, che si fanno più penetranti ed intense con l’avanzare della stagionatura. La Denominazione di Origine Protetta è 2010.
Sono molti i piatti che permettono di valorizzare al meglio il Provolone del Monaco. Il piatto forse più rappresentativo è la “pasta e patate”. Origini poverissime, prevede che il formaggio, sia grattugiato in scaglie sottili, aggiunto alla minestra, oltre a renderla golosissima e vero comfort food riesca, grazie al calore, a esprimere al meglio le sue caratteristiche, i suoi aromi e i suoi profumi.
La nascita del nome "del Monaco" è invece legata alla storia della commercializzazione del provolone: la tesi più accreditata vuole che, vista la necessità di trovare sbocchi commerciali più ampi, i casari che dimoravano sui Monti Lattari si spingessero fino ai mercati della città di Napoli. Raggiungevano la città via mare e per proteggersi da freddo e umidità si coprivano con un grande mantello simile ad un saio che li faceva assomigliare a dei monaci. Ben presto soprannominati monaci, l'appellativo finì per estendersi anche al formaggio che trasportavano.
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di Caterina Vianello

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