In tecnologia, la rigenerazione è un processo di ripristino delle proprietà originali di un oggetto o di un materiale. In senso figurato, rigenerare può significare recuperare forza, vigore, grandezza, dignità. La parola “rigenerare” è utilizzata in vari contesti, sia in ambito scientifico che in ambito comune ed è anche una parola particolarmente apprezzata nel lessico pubblicitario, in quanto evoca un senso di positività e speranza. In quest’ultima chiave mi piacerebbe leggere l’opportunità di trasferire il termine “rigenerato” con un’accezione positiva anche in cucina. Spesso, nell’utilizzo comune dei professionisti della ristorazione, il termine “rigenerato” si riferisce al processo di decongelamento/rinvenimento e successiva preparazione o riscaldamento di un piatto precedentemente cotto.
LA RIGENERAZIONE IN PIZZERIA
In ambito pizzeria, il rigenerare viene inteso principalmente con due accezioni: nel primo caso, si rigenera o un impasto divenuto “problematico” o per necessità dovuta ad evitare sprechi alimentari: i “panielli” meritano spesso una seconda possibilità e, nell’antica tecnica del rigenero, questo si effettua lavorando l’impasto come un normale panetto ma in modo meno vigoroso, stando bene at-tenti a chiudere eventuali aperture al di sotto della pallina. Infine, si tratta di avere pazienza e dare al panetto il tempo necessario a rigonfiarsi. Spesso, questo tipo di tecnica si utilizza per risolvere una lievitazione complessa a causa di qualche cambiamento climatico: il rigenero, in questo caso, si fa se un impasto è rimasto troppo umido in modo tale da riattivare la lievitazione e affinché l’impasto si asciughi e prenda forza.
Il secondo ambito è, a mio modesto parere, l’uovo di colombo che non ha ancora trovato una sua vera dimensione e collocazione culturale nella pizzeria tradizionale: la rigenerazione di una base pizza congelata. Ovviamente parlo di prodotti artigianali “da pizzeria” o panetteria e non dei grandi produttori industriali da anni disponibili nei banchi della GDO. A tal proposito, ricordo alcune dichiarazioni, (rilasciate in periodo Covid) del pizzaiolo Antonio Esposito, titolare della pizzeria “Il Marchese” di San Giorgio a Cremano, che affermava di aver trovato il modo di rendere fruibile dai suoi affezionati consumatori la sua pizza. Secondo Esposito, in pratica, si tratta di preparare il classico disco di pasta, abbatterlo e congelarlo per consegnarlo poi a casa al cliente il quale, spiega Esposito, “può decidere di lasciarla nel proprio congelatore e mangiarla quando vuole oppure scongelarla, farcirla come meglio crede e cuocerla di-rettamente nel suo forno di casa e mangiarla dopo cinque minuti”. Esposito ha avuto l’idea di questa nuova formula per rispondere a una necessità personale: non era possibile portare a casa una pizza decente per sua moglie, che viveva lontano dal locale. La pizza rigenerata è una pizza che viene cotta nel forno a legna della pizzeria, condita con pomodoro, olio e basilico e poi abbattuta e surgelata. Viene consegnata ai clienti in sacchetti per alimenti chiusi ermeticamente ed etichettati con la data di produzione.
Il trasporto viene eseguito nelle stesse modalità della normale delivery, in borse termiche adatte alla preservazione della catena del freddo. Questo tipo di approccio sottolineava bene i vantaggi della pizza rigenerata rispetto al classico concetto di pizza a domicilio. Innanzitutto, può essere ordinata in qualsiasi momento, anche il giorno prima. Questo consente ai clienti di avere più flessibilità e di scegliere il mo-mento più adatto per consumare la pizza. Inoltre, la pizza rigenerata può essere condita secondo i propri gusti. Questo è un vantaggio importante, soprattutto per chi non ama le pizze già condite che si trovano normalmente nei banchi della GDO.
La pizza rigenerata può essere anche un modo per contrastare lo spreco alimentare. Una comune pizza surgelata industriale, infatti, è spesso già assemblata e quindi non personalizzabile ma la pizza rigenerata può, invece, essere condita con gli ingredienti che si hanno in casa, anche se sono pochi. Questo può aiutare a ridurre lo spreco alimentare domestico e personalizzare il gusto della propria pizza preferita, giocando con ingredienti freschi e genuini.
Ci troviamo di fronte ad una visione utopistica di un progetto tanto semplice, quanto difficile da implementare? Sicuramente se si trovasse uno standard produttivo “italiano” condiviso ed accettato dalla clientela, fornire ai propri clienti una base pizza congelata, più accessibile e sostenibile sia economicamente che ambientalmente, porterebbe ad un risultato socioeconomico ad oggi difficilmente immaginabile. Ovviamente, tornati alla quotidianità post-Covid, molti lavori di ricerca in questa direzione si sono stoppati o sono stati accantonati a favore della ripresa del lavoro in pizzeria, con asporto e delivery ma sarebbe un peccato abbandonare del tutto questo bellissimo sogno della pizza con-gelata “di quartiere” A proposito di clientela, per eliminare qualunque tipo di scetticismo, invito i lettori a fare una ricerca online: in rete esistono dei veri e propri manuali della conservazione e della rigenerazione della pizza a domicilio, con consigli che vanno dal freezer al frigo, con tecniche di rigenerazione in forno tradizionale, ventilato, microonde, tecniche per la rigenerazione in padella… Il limite dell’utente domestico medio è più che altro l’esperienza ma a volte si trovano degli accorgimenti tanto semplici quanto efficaci.
In questo senso, dare qualche dritta per conservare e rigenera-re gli eventuali spicchi di pizza avanzati da una serata con gli amici potrebbe essere un buon modo per coltivare una connessione con la clientela che compra la vostra pizza a domicilio.