Il cioccolato

Moltissimi sono i modi di raccontare il cioccolato e moltissimo è stato scritto. Per osservarlo – e assaggiarlo! – con occhi diversi, ecco un viaggio “alternativo” tra tipologie, aneddoti che ci permetteranno di conoscerlo meglio e qualche consiglio per capire come degustarlo.

Se gli ingredienti base del cioccolato sono pochissimi (nel caso del fondente, “il cioccolato per eccellenza”, sono solo pasta di cacao, zucchero e burro di cacao, con l’eventuale aggiunta di lecitina e vaniglia, utilizzate per conferire stabilità a massa e aromaticità) prima di passare dalla bevanda liquida degli antichi popoli mesoamericani (la cioccolata, per amor di precisione) alla nostra tavoletta, il percorso è stato lungo. Nelle prime fonti, la parola per indicare la cioccolata da bere è cacahuatl, cioè “acqua di cacao” ed in effetti gli antichi la consumavano dopo aver frantumato e ridotto in polvere i semi, cui aggiungevano acqua e fiori o spezie per conferire aromaticità.

Era associata ad un elevato valore simbolico e i semi, proprio a conferma di un riconoscimento circa il ruolo socio-economico e culturale del cacao, venivano utilizzati come moneta.

Dai paesi di origine del cacao all’Europa per secoli l’unica forma consumata sarà quella liquida. Per arrivare a scartare la prima tavoletta bisognerà attendere il 1847 quando nel negozio Fry & Sons di Bristol, in Inghilterra, i fratelli Richard, Francis e Joseph Fry trovarono il modo di combinare il cacao in polvere (ottenuto grazie all’invenzione di una pressa idraulica dall’olandese Van Houten nel 1828, capace di separare il burro di cacao dalla massa), con lo zucchero e il burro di cacao.

Siamo a al cioccolato fondente? Non ancora: ufficialmente infatti è nel 1879 che, a Berna, lo svizzero Rudolphe Lindt mette a punto la ricetta per il cioccolato fondente grazie all’invenzione del concaggio: la massa viene scaldata e mossa, per almeno 72 ore, restituendo così un effetto morbido e cremoso al palato.

Attenzione all’etichetta per quanto riguarda l’uso dei grassi vegetali: dal 2003 è concesso sostituire il burro di cacao con altri grassi vegetali, specificandolo in etichetta, fino ad un massimo del 5%. Gli amanti del cioccolato al latte rimarranno forse stupiti nel sapere che un ruolo determinante nell’invenzione della tavoletta lo ebbe il chimico Henry Nestlé, che nel 1867 riuscì ad ottenere il latte in polvere. Fu poi Daniel Peter a mettere a punto definitivamente la ricetta, dopo molti tentativi, nel 1875. Se fondente e al latte sono sicuramente le tipologie più amate e consumate, vale la pena ricordarne altre che rimandano a guerre, tradizioni e trovate di marketing. Risale a inizio ‘800 l’invenzione del gianduia: il nome è un omaggio alla maschera tipica torinese mentre le origini della specialità piemontese sono legate al tentativo – riuscito – di aggirare il blocco napoleonico sul cacao. Solo burro di cacao e latte, invece, nel cioccolato bianco, la cui dolcezza lo rende un prodotto amato forse più dai più piccoli, mentre è frutto di una mera operazione commerciale di Barry Callebaut, multinazionale svizzera del cioccolato, il cioccolato rosa. Ottenuto da alcune differenti specie botaniche provenienti da Costa d’Avorio, Brasile ed Equador pare sia risultato della lavorazione di una fava particolare. Il gusto ha sentori di frutti di bosco e una dolcezza mista a note acidule. Esattamente come accade per il vino, anche il cioccolato è oggetto di analisi organolettica: vista, udito, tatto, odorato e gusto sono ugualmente coinvolti in un processo che permette di conoscere e apprezzare meglio “il cibo degli dei”.

Prima di assaggiare la vostra tavoletta, quindi, è bene osservarla:

un buon cioccolato dev’essere uniforme, lucido, omogeneo, senza striature né tantomeno buchi o bolle.

L’esame successivo coinvolge l’udito:

il rumore prodotto quando si spezza una tavoletta è uno “snap” netto, indice di una lavorazione corretta. Inoltre se la rottura è avvenuta lungo linee dritte e regolare e se le briciole o le schegge sono poche, siamo di fronte ad un ulteriore segnale di un buon prodotto.

Il tatto, riferito al cioccolato, ne indica la consistenza:

dev’essere fine (senza granuli), dalla struttura piacevole, vellutata, liscia, senza residui grassi; l’astringenza deve essere equilibrata, rotonda e morbida; deve fondere abbastanza rapidamente.

Al naso devono arrivare gli aromi primari del cacao, in genere i più facili da riconoscere, e quelli secondari, più difficili e frutto di esperienza:

caffè, liquirizia, caramello, fiori, frutta fresca o secca, legno, frutti di bosco, miele, spezie. Sono tutti elementi che forniscono informazioni sul patrimonio genetico del cacao e la sua lavorazione.
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Finalmente l’assaggio: le categorie da considerare sono dolcezza, amarezza e acidità.

Il bilanciamento, l’equilibrio e l’assenza di picchi estremi sono indicazione di una lavorazione corretta, capace di esaltare e non coprire le caratteristiche dei vari tipi di cacao: ideali sono quindi una dolcezza misurata, un’amarezza tenuta in sottofondo – altrimenti è indice di qualità mediocre, eccessiva tostatura o fermentazione insufficiente – ed un’acidità leggera.

Infine, una breve nota sulle varietà di cacao. La tradizionale suddivisione ne identifica tre: Criollo, Forastero e Trinitario.

Il primo è il più pregiato, il più raro e il più delicato al palato, il secondo è la varietà più diffusa dal carattere più amaro e acido, mentre il terzo è un ibrido dei due precedenti. Le ricerche tuttavia a partire dagli anni 2000 hanno condotto, nel 2008, alla pubblicazione di quello che viene considerato un volume fondamentale, a firma di Juan C.Motamayor, che attraverso una mappatura delle varietà genetiche del cacao, è arrivato ad individuare 10 varietà genetiche, a conferma della ricchezza e della complessità di uno degli alimenti più consumati al mondo. Un ultimo consiglio infine, per chi voglia saperne di più: La Compagnia del Cioccolato opera da anni per la formazione culturale e sensoriale sulla materia, organizzando corsi e degustazioni.
Per amor di precisione, oggi la normativa comunitaria definisce il cioccolato come contenente almeno il 35 % di cacao magro. Nei casi di "extra fine", "fine" o "finissimo" si fa riferimento ad un fondente che contiene almeno il 43% di cacao. In realtà i puristi e gli appassionati difficilmente scendono sotto il 60%.
Eccellenza tutta italiana è il cioccolato di Modica. Igp dal 2018, è ottenuto con una lavorazione “a freddo” nella fase finale (diversamente quindi dal cioccolato crudo, in cui non si superano mai i 40°-42° per tutto il processo di produzione): l’impasto si ottiene lavorando assieme la pasta amara di cacao e lo zucchero, anche di canna, raffinato o integrale.
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di Caterina Vianello

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