Siamo a al cioccolato fondente? Non ancora: ufficialmente infatti è nel 1879 che, a Berna, lo svizzero Rudolphe Lindt mette a punto la ricetta per il cioccolato fondente grazie all’invenzione del concaggio: la massa viene scaldata e mossa, per almeno 72 ore, restituendo così un effetto morbido e cremoso al palato.
Attenzione all’etichetta per quanto riguarda l’uso dei grassi vegetali: dal 2003 è concesso sostituire il burro di cacao con altri grassi vegetali, specificandolo in etichetta, fino ad un massimo del 5%. Gli amanti del cioccolato al latte rimarranno forse stupiti nel sapere che un ruolo determinante nell’invenzione della tavoletta lo ebbe il chimico Henry Nestlé, che nel 1867 riuscì ad ottenere il latte in polvere. Fu poi Daniel Peter a mettere a punto definitivamente la ricetta, dopo molti tentativi, nel 1875. Se fondente e al latte sono sicuramente le tipologie più amate e consumate, vale la pena ricordarne altre che rimandano a guerre, tradizioni e trovate di marketing. Risale a inizio ‘800 l’invenzione del gianduia: il nome è un omaggio alla maschera tipica torinese mentre le origini della specialità piemontese sono legate al tentativo – riuscito – di aggirare il blocco napoleonico sul cacao. Solo burro di cacao e latte, invece, nel cioccolato bianco, la cui dolcezza lo rende un prodotto amato forse più dai più piccoli, mentre è frutto di una mera operazione commerciale di Barry Callebaut, multinazionale svizzera del cioccolato, il cioccolato rosa. Ottenuto da alcune differenti specie botaniche provenienti da Costa d’Avorio, Brasile ed Equador pare sia risultato della lavorazione di una fava particolare. Il gusto ha sentori di frutti di bosco e una dolcezza mista a note acidule. Esattamente come accade per il vino, anche il cioccolato è oggetto di analisi organolettica: vista, udito, tatto, odorato e gusto sono ugualmente coinvolti in un processo che permette di conoscere e apprezzare meglio “il cibo degli dei”.