Mai più di 5

“Prima di tutto si parte dalla resistenza umana, no? Cioè, prima di tutto: mai più di cinque. Cioè, non più di cinque quando uno fa… quelle cose, l’amore, no? Mai più di cinque. Cioè, tu sei diplomato?”

“Si.”

“Mai più di quattro. Cioè mai più di quattro, ma però bisogna misurare l’intensità; cioè, mica uno ne fa quattro così, però con l’intensità che possono essere pure cinque, no? Se sono quattro, devi misurare che in una volta non ne devi fare due. Giusto, no? Per esempio, capita che uno fa una volta, sai, e ci mette tutta chella intensità che in una ne escono due. Allora che succede? Che quella volta in una ne hai fatte due è come se te la sei bruciata, allora in quel caso mai più di tre”.
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È il 1981 quando Massimo Troisi, compianto attore, regista e sceneggiatore partenopeo, vestendo i panni di Gaetano, si rivolge così in “Ricomincio da tre”, sua prima opera cinematografica, a un ineguagliabile Renato Scarpa che interpreta il remissivo Robertino, che la “mammina” ha relegato in casa perché “dice che ha i complessi”. La domanda di Robertino, che allude al sesso pur senza esplicitarlo, è: “Come si fa a capire questo limite?”.
 
Ed è proprio da qui che voglio partire: qual è il limite? Se, nel sesso, la giusta misura è infatti rappresentata dal rispetto della volontà dell’altr*, non comprendo perché nel cibo non debba accadere lo stesso. Qualche anno fa, al Campionato mondiale della Pizza di Parma, si decise di dedicare i seminari formativi proprio a questo tema: quanti e quali ingredienti scegliere per le proprie creazioni.
 
La riflessione nasceva dal fatto che, nella maggior parte dei casi, le schede di partecipazione contenevano un elenco di materie prime infinito e spesso oltre la più fervida immaginazione.
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Ciò avveniva (e avviene ancor oggi) perché si pensa che aggiungere ingredienti e lavorazioni renda una pizza più appetibile e la posizioni nell’impero dei gourmand. Sfatiamo subito questo mito: non è così. Non bastano, infatti, materie prime blasonate (e costose) per trasformarsi in chef ma è necessario conoscere tecniche di cucina, sperimentare il pairing e soprattutto acquisire conoscenze sensoriali degustando ingredienti, abbinamenti e ricette. Se non si segue questa via, che è un po’ più lunga ma di certo più soddisfacente, il rischio più che concreto è quello di fare ciò che a “Masterchef” chiamano mappazzone e che equivale a uno spreco di ingredienti, tempo e denaro.
 
Fu dunque il Campionato mondiale della Pizza di Parma a introdurre per la prima volta questa teoria del “Mai più di 5!”, divenuta ormai felicemente condivisa da chiunque eserciti attività di formazione e consulenza nel campo della pizzeria.
 
Seguendo questa teoria, si intende consigliare alle pizzaiole e ai pizzaioli del tempo odierno di non strafare, avendo cura di non condire la pizza con più di 5 ingredienti. La Margherita, per esempio, ne ha 4: olio, mozzarella, pomodoro, basilico. Quando, invece, siamo in presenza di preparazioni più complesse come, per esempio, una parmigiana di melanzane, sarebbe giusto inserire solo quella preparazione lì (già di per sé consistente) sulla nostra pizza, senza aggiungere altro. Gli esempi (e gli interrogativi) potrebbero essere tanti e diversi ma, per ora, credo di aver esplicitato a sufficienza il concetto.
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E cosa accade, invece, nel caso di una pizza farcita? Anche in quest’occasione il ripieno deve avere al massimo 5 ingredienti? E no. Qui subentra, infatti, la specifica che fa Gaetano a Robertino in merito all’essere diplomati. Saper cuocere una pizza ripiegata su se stessa è infatti “roba da diplomati” e tutti i pizzaioli lo sanno. Allora, in questo caso, “mai più di 4”. Prendiamo ad esempio il più classico tra i calzoni napoletani: cicoli, ricotta e pepe. Tre ingredienti. Se siete più bravi di chi ha inventato quest’opera d’arte, potete strafare e aggiungerne un quarto, altrimenti ascoltate un consiglio: “ricominciate da tre”.
 
Ad ogni modo, bisogna ammettere che sta, per fortuna, cadendo in disuso l’inserimento di una sovrabbondanza di ingredienti sulla pizza ma non molto tempo fa un’amica pizzaiola, Rosa Casulli, mi ha raccontato che una sera si è presentata al suo locale di Putignano una persona che le ha chiesto – senza colpo ferire – una “completissima”. Ovvero, una pizza che avesse sopra tutti gli ingredienti esposti sul banco. È evidente, dunque, che il problema non è solo dei pizzaioli ma anche della disastrosa educazione al gusto della clientela.
 
Ascoltiamo, allora, l’insegnamento di Troisi che, dopo la sua attenta spiegazione, chiosa così: “Robè, siente a mme, ccà nun ce sta nisciuno limite, nessun diplomato e cosa. Robe, tu devi uscire, ti devi salvare”. Nessun limite, dunque, esiste per chi ha fame e sete di formazione, ovvero per chi “esce” dal proprio guscio della pizzeria e “si salva”, in un unico modo: conoscendo.
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di Nio

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